Telegiornale

Premessa.

Ogni tanto ci dimentichiamo che siamo a bordo di una navicella guidata dalle nostre tre ineffabili scimmiette. Che cosa ce lo ha fatto ricordare stavolta?

Semplice. Poiché dall’oblò hanno notato una drammatica turbolenza in una zona del pianeta corrispondente all’Afghanistan, ci hanno commissionato un bel servizio giornalistico. Da inserire, crediamo,  in un training sul conflitto tra civiltà.

E non possiamo dire di no. Del resto sono loro le leader e conduttrici, oltreché del mezzo sul quale ci troviamo, di questa avventura, che si è trasformata col tempo in un training totale.

A riprova poi del fatto che non ci  perdono di vista un istante, e che leggono ciò che stiamo scrivendo in questo periodo, un esercizio del primo nostro manuale si intitola, per l’appunto, Telegiornale (vedi sotto).

Perciò sono loro oggi a imporci il gioco da presentare con questo brano.

Non tutti i mali, però, come si sa, vengono per nuocere. Anzi, il fatto di trovarci su una navicella e di dover sottoporre il compito richiestoci al giudizio di viventi di altra specie, le tre scimmiette appunto, può darci  l’occasione più simile possibile al tentativo di comunicare con gli alieni. In attesa dei progressi dell’ufologia sulla loro presenza sulla Terra. E quindi sull’opportunità o meno di entrare in contatto con loro.

Il mito dell’ oggettività e dell’imparzialità.

La maggiore difficoltà, però, non è tanto riuscire ad essere esaustivi sul tema assegnatoci, quanto, prima di tutto, vincere il dilemma della oggettività-imparzialità.

Anche solo per riferire ciò che vediamo dall’oblò, infatti, come si fa a rimanere distaccati? Come si fa a non usare almeno un tono concitato di fronte al dramma di torme di persone che a Kabul prendono d’assalto gli aerei per fuggire? Non è forse proprio sull’ empatia che passa il confine tra uomo e macchina?

Come possiamo, soprattutto, liberarci dagli effetti di essere nati in una certa zona del globo, in una parola, di essere occidentali?

Però, al contrario, che senso avrebbe tentare un resoconto soddisfacente, quando  ne sono stati già scritti innumerevoli e peraltro da inviati di guerra, professionisti della sofferenza in diretta?

Non ci resta che una via: alzare la posta aumentando il tasso di difficoltà del compito assegnatoci.

Umano, meno umano

Non potendo smettere di essere umani, e occidentali, rimanendo a questa altezza, grazie alla navicella che ci ospita,  cercheremo, infatti, di guardare quello che succede, come baroni rampanti, come se riguardasse altre specie viventi. Come a dire, usiamo una difesa dell’io per essere distaccati, pur non riuscendo ad essere oggettivi. Possibilità definitivamente compromessa, infatti, come abbiamo visto in un altro brano, dopo che la seconda cibernetica ha fatto precipitare l’osservatore dentro il sistema osservato.

Dobbiamo allora farci aiutare da due contributi.

Il primo è l’idea di quella sorta di esperimento mentale, come quello proposto da John Rawls, in una Teoria della giustizia, Milano 1982. Per creare le condizioni adatte per stabilire le regole più giuste di una società, egli, come sappiamo, immagina che i negoziatori siano avvolti da un velo di ignoranza circa il posto che avranno nella società da costruire. Stavolta, però, occorre una variante: dovrebbero prendere in considerazione  anche l’intero ecosistema. Non pensare solo alla specie umana.

Il secondo contributo lo prendiamo, invece, da Aldo Sacchetti, L’uomo antibiologico, Riconciliare società e natura, Milano, 1985. E’ un testo che produce nel lettore la sensazione di mettersi sul naso un paio di occhiali con cui vedere l’impatto biologico e chimico  di ogni più piccola azione quotidiana. Solo con questo tipo di occhiali è possibile vedere e capire come la nostra terra debba essere percepita come un grande transatlantico che, anche una volta spenti i motori, non può fermarsi subito ma dopo una grande distanza. Cosicchè appare verosimile quanto si afferma da fonte CNR che seppure bloccassimo tutte le attività umane produttrici di impatto sul clima, ci vorrebbe mezzo secolo per avvertirne gli effetti.

La multiparzialità

Troppo difficile tutto questo? E’ scelta obbligata, per risolvere il problema dell’impossibilità di essere oggettivi.

Ecco perché alla oggettività e alla imparzialità sostituiremmo la multiparzialità. Ossia la capacità di calarsi in un personaggio e dargli ragione e senso. Esattamente ciò che fa ciascuno di noi avendo una sola esperienza di vita fatta di scelte della cui alternativa migliore non abbiamo la controprova.

Allora, il pezzo giornalistico da sottoporre alle nostre occhiute scimmiette potrebbe essere il seguente.

(Possibile titolo e sottotitolo) Talebani, quale occidente.    Il continente dei naufraghi.

“Cosa può a Kabul rendere calca  migliaia di corpi?  Si tratta di appartenenti ad una strana specie, quella umana, che a differenza di tutte le altre, ha prometeica capacità di previsione. E tali esseri, con la memoria di ciò che hanno in passato subito, o sentito (una dittatura feroce come nel caso), giocano il tutto per tutto. Avessero solo istinti, reagirebbero solo davanti al pericolo concreto. Ma prima, sempre per istinto, come gli altri viventi, farebbero tutto ciò che loro serve senza battere ciglio. Come gli uccelli fanno il nido, covano e poi se ne vanno.

Sono esseri calcolatori, mettono sui due piatti della bilancia la paura del passato con il rischio della vita. Ecco forse non c’è nulla di più umano delle parole rischio e scommessa. Questa addirittura utilizzabile per la stessa esistenza di Dio. Vivo rettamente anche se non ci credo. Se poi, invece, Dio esiste, il come avrò vissuto tornerà a mio vantaggio. Ma Blaise Pascal riteneva che il ragionamento valesse anche per il martirio, suprema sofferenza?

La calca prende d’assalto gli aerei rimuovendo il rischio di perdere la vita calpestati o per attentati. Già in passato si abbatterono in Europa dei muri come segno di raggiunta libertà. Qua il muro che si vuole bucare è quello del suono, da parte di aerei dalla grande pancia che imbarcano eserciti di fuggitivi.

Un gruppo di osservatori ha già bollato la vicenda come la fuga dell’occidente e l’ennesimo Vietnam. Moderne disfatte che sostituiscono nell’immaginario collettivo quelle più antiche: Canne per i Romani antichi, Salamina per i Persiani, Caporetto per gli Italiani, Waterloo per Napoleone Bonaparte.

L’occidentalizzazione del mondo: una battuta d’arresto?

Ebbene, forse sarebbe meglio parlare di una battaglia persa, non della guerra, di quella che Serge Latouche, chiama l’Occidentalizzazione del mondo. In una parola il tentativo di estendere all’intero pianeta il modello di vita dell’occidente. Espressivo di un astratto standard di tenore di vita (per evocare Amartya Sen)  preso come parametro su cui misurare il progresso o l’arretratezza delle altre zone geografiche.

Homo oeconomicus, Natura giudicessa

Se al mito dell’uomo che cerca di soddisfare al massimo i propri bisogni naturali o meno, su cui si basano tutte le concezioni economiche attuali, sostituissimo il giudizio della natura, che cosa ne sarebbe dei diritti dell’uomo?

La stessa Piramide di Abraham Harold Maslow subirebbe un terremoto.

Essa pone, infatti, in cima i bisogni di appartenenza e realizzazione  dopo che sono stati soddisfatti tutti i bisogni primari. Facendoci dimenticare che anche questi dipendono dai primi. Come si spiega, se no, il fatto per cui tende a consumare di più chi è insoddisfatto nei bisogni che stanno in cima alla piramide?

Come si spiega, se non così, l’attuale tendenza dei milionari di privarsi del superfluo? Non è solo moda, a nostro avviso. L’unico problema è che non possiamo permetterci che tutti facciano altrettanto: diventare sobri dopo aver accumulato inestimabili ricchezze. Non possiamo permetterci ricchezza per tutti per poi far scegliere liberamente la sobrietà. Già così non ci basta il pianeta che abbiamo.

Ebbene si, spiace dirlo, la Natura porrebbe dei seri problemi nell’ esperimento mentale della posizione originaria e del velo di ignoranza di John Rawls. La Natura porrebbe il veto all’universalismo dei diritti soggettivi ad espansione illimitata.

Ben inteso, la natura non entrerebbe nelle questioni interne di un popolo se sia lecito o meno ascoltare la musica. Avrebbe da obiettare sull’uso dell’energia senza limiti.

Il fatto è che da quando il diritto è stato separato dalla morale (con Hans Kelsen il divorzio è stato definitivo)  si pensa sia morale esigere la massima diffusione dei diritti.

Eppure i rapporti tra diritto e morale sono indissolubili. Si pensi alla giustizia, non a caso definita la più giuridica delle virtù.

La fine del paradosso statistico del pollo

Ovviamente, gli occidentali potrebbero compensare l’inefficacia dell’espansione del proprio modello con una parziale rinuncia ad esso. Dal punto di vista contabile la Natura approverebbe.

Per essere più chiari, tutti conoscono l’arcinoto paradosso statistico del consumo del pollo. Secondo il quale anche se un soggetto si appropria di un intero pollo lasciando un’altra persona a mani vuote, potrebbe giustificarsi invocando la statistica. Per la quale, appunto, il consumo medio, nel caso, è di mezzo pollo pro capite. Ovviamente poichè la statistica non è fatta per legittimare simili furberie, potremmo dire che alla sua indicazione dovrebbe seguire l’iniziativa che chi si è appropriato del pollo intero, debba cederne la metà a chi ne sia privo.

Ed anzi per evitare di indurre alla violenza di quest’ultimo di fronte alla resistenza del primo, magari giustificata con la meritocrazia, bisognerebbe che a monte sia possibile evitare che nelle mani di questi finisca il pollo intero. E’ meglio, dunque, che il pollo arrivi a destinazione già sezionato.

Ma come si può ottenere ciò spontaneamente e sistematicamente? I due avverbi, appare chiaro, non sono compatibili. Infatti alla rinuncia della gran parte delle proprie ricchezze cui si è dichiarato pronto un Elon Musk, quanti seguiranno spontaneamente?

Natura giudicessa sarebbe persino capace di tacciare il declino dell’oggettività come un vezzo postmoderno, calando sul tavolo i dati intransigenti che chiunque può leggere su www.worldometers.info/

Il fatto è che i diritti sono sorti parallelamente all’espansione delle conoscenze e all’ottimismo. Lasciando alla morale il lavoro sporco dell’individuazione dei limiti. Ma sappiamo che la morale è il dominio delle regole individuali. Destinate ad essere travolte quando iniziano a prevalere i grandi agglomerati viventi, all’insegna, peraltro, di quella che lo stesso Serge Latouche chiama Megamacchina come da titolo del suo libro del 1995 (Serge Latouche, Megamacchina, Torino, 1995).

Gli ostacoli al dirittismo

I diritti senza il rovescio dei costi sociali ed ecologici hanno portato alla teorizzazione, al fine di stigmatizzarlo, del dirittismo (termine usato da Alessandro Barbano in Troppi diritti, Milano, 2018). Senza considerare che senza doveri, i diritti dell’Occidente sono pagati dagli altri luoghi del globo e quelli delle generazioni presenti da quelle future.

Natura giudicessa approverebbe tutti gli odierni ostacoli al dirittismo senza se e senza ma, senza frontiere e senza tempo.

Tra questi la morale, le regole giuridiche e le religioni. Per la Natura la religione non sarebbe oppio del popolo. Ma viceversa lo sarebbe il consumismo.

Tra le religioni avrebbe poi una certa preferenza per quelle che non postulano lo sfruttamento delle risorse naturali. Come se esistessero delle religioni più o meno ecologiche. Cosa che trova conferma nella presenza dei diversi ordini monastici dentro la stessa chiesa cattolica.

Un pianeta dei naufraghi

Conviene allora dichiarare naufragio, per riprendere il titolo di un altro testo di Serge Latouche, Il pianeta dei naufraghi, Torino, 2017. Ma non per poi fare posto a soluzioni escatologiche. Ma per cominciare a ricostruire dalle fondamenta le ragioni e le condizioni della convivenza. Ancora una volta pare utile ricordare la situazione  provocatoriamente ipotizzata da Rawls. In cui nessuno sa quale sarà la posizione che occuperà nella ri-costruenda società, e dunque, cercherà di fare delle proposte che rendano migliori possibili le situazioni peggiori. Dato che potrebbe capitargli proprio una di queste in sorte.

Ma la prima istituzione che cede al naufragio sembra proprio quella dei singoli stati. Sia perchè le frontiere non possono avere muri invalicabili, sia perchè le soluzioni dei problemi attuali richiedono una riconfigurazione dei confini politici più coincidenti con quelli geografici.

E tali problemi non vengono più dalla minaccia di invasioni di tipo militare, ma di tipo naturale: biologico, chimico e solo in ultimo da eserciti, ma non di soldati, ma di inermi.

Con la conseguenza, specie davanti alle invasioni di inermi, che si tocca di più con mano la difficoltà ad estendere i diritti anche ad essi.

Prima  si trattava di esportarli, tali diritti, e in caso di fallimento, questo non sembrava attribuibile alla loro natura. Ora, invece, viene messa a nudo la loro intrinseca debolezza di diritti illimitati ma solo per un numero limitato di persone (era già così prima delle immigrazioni, ma l’ottimismo faceva pensare che si trattasse di una questione di scarsa volontà per cui prima o poi il divario tra i diversi livelli di possesso di essi, si sarebbe  colmato).

Un “esperanto” delle religioni?

Il caso Afghanistan ci dimostra quanto sia impegnativo l’esercizio della memoria, tanto che oggi si polemizza sull’opportunità di dialogo con i Talebans, dopo che nel 2020 gli Usa hanno negoziato un accordo. Ma tanta labilità non è altro che una delle prove delle difficoltà di mettere in campo risposte tempestive perchè si eviti il collasso globale.

Occorre forse perciò che gli ostacoli all’occidentalizzazione del mondo si potenzino.

In particolare sarebbe opportuno un accordo tra religioni, dall’alto del loro ruolo di influencer dei comportamenti dei popoli. Le filosofie sono forse troppo blande in tale funzione, infatti. Mentre la religione ha una maggiore e più profonda presa sui comportamenti. Una religione che abbia al centro la natura. E che fondi i suoi precetti sull’analisi scientifica dei comportamenti.

Forse Prometeo, come la mitologia ci racconta,  ha insegnato all’uomo solo a prevedere, ma purtroppo non a provvedere affinché le previsioni nefaste non si verifichino”.

Considerazioni post rilettura.

Prima di consegnare questo scritto alle scimmiette, di cui attendiamo con ansia il giudizio,  e così rispettare la consegna affidataci, ad una rilettura ci viene il sospetto che ci verrà sollevata una osservazione. Dove sono le vicende dell’Afghanistan? Dove si riportano gli ultimi fatti più rilevanti circa un paese orientale circondato dall’Iran, dal Pakistan e dalla Cina (per citare solo alcuni dei paesi confinanti), con capitale una megalopoli e con una popolazione di poco superiore alla metà di quella italiana, al centro dell’attuale attenzione mondiale per via del ritiro delle truppe occidentali dopo vent’anni?

Il fatto è che abbiamo dato, come di solito si fa, una certa interpretazione alla consegna.

Abbiamo tarato gli strumenti di osservazione su parametri più di ecologia sociale che socioeconomici. Questi sono per così dire dati per intesi, in quanto reperibili sulla terra.

E data l’altitudine del livello di osservazione che abbiamo a bordo della navicella, non ci sembrava possibile privare il lettore di ciò che dalla terra probabilmente non si coglie.

Sull’efficacia della scelta alle scimmiette l’ardua sentenza.

Pier Gavino Sechi.