Simboli (nuova lettura)

Premessa.

Con il gioco Simboli affrontiamo oggi un argomento decisivo. Quali modelli decisionali possono garantire oggi democrazia e presa di decisioni efficaci per affrontare le attuali problematiche riassunte, prendendo spunto dall’opera tante volte citata di Vittorio Hösle, nella formula di crisi ecologica.

Prima però, vorremmo far osservare che Simboli è già noto al lettore. L’abbiamo già presentato, infatti, quasi un anno fa. Si tratta di una ripetizione frutto di errore dovuto a sbadataggine? O del progressivo esaurirsi del campionario di giochi da illustrare? O ancora, di uno strisciante disagio per l’estendersi di questo lungo periodo di pandemia che sembra non voler terminare?

Chiariamo subito che i giochi che stiamo presentando sono come le favole. Qualcuno ad un certo punto della storia si è preso la briga di metterle nero su bianco. Ma la loro origine si perde nella notte dei tempi. Così pure capitò a noi. Molti giochi sono frutto della nostra inventiva. Ma molti di più ci furono insegnati. E così pure nulla impedisce, anzi, questo è l’auspicio, che altri ne vengano creati. A beneficio di chi li crea e di chi attraverso un gioco può vivere pienamente ciò che gli viene proposto. Sino a che il gioco non diventa un modo di vivere la realtà.

Per spiegare però meglio la ragione per cui riproponiamo un gioco già presentato in passato, occorre rifarci a quanto scrivemmo in proposito nei nostri manuali.

I giochi:  un alfabeto per discorsi e percorsi infiniti.

Oggi possiamo dire che i giochi sono come le lettere dell’alfabeto. Assumono significati diversi a seconda del contesto in cui sono inseriti. Non sono vincolati ad un solo significato che ne esaurisca l’intero spazio semantico.

Tanto è vero che nell’occasione di un anno fa Simboli ci tornò utile per focalizzare l’attenzione sull’importanza del gruppo. Oggi, invece, lo riproponiamo per attirare l’attenzione sulla tematica delle forme di governo dei sistemi sociali complessi.

Perchè ancora Simboli

Dove sta la problematicità del tema che qui affrontiamo? E perchè ci serviamo anche stavolta di Simboli?

La velocità con cui si stanno avvicinando scadenze oltre le quali i problemi ecologici rischiano di diventare irreversibili, impone scelte draconiane. Che per essere incisive hanno bisogno di tutti i livelli possibili, anzichè dare luogo a quei fenomeni di resistenza che immancabilmente si attivano in questi casi. Fenomeni non solo naturali ma addirittura necessari per rendere più compatibili le scelte con le condizioni materiali dei soggetti coinvolti.

Ma che tuttavia, in caso di scadenze così ravvicinate,  rischiano di “bruciare sul tempo” le misure indispensabili per disinnescare i processi lanciati verso l’irreversibilità.

Abbiamo già menzionato in passato il messaggio satirico per cui in epoca  postmoderna non è più necessario fare i colpi di stato, in quanto questi si farebbero da soli. Ebbene ciò potremmo estenderlo anche all’emergenza ecologica. I tempi della democrazia e dell’educazione rischiano di rivelarsi troppo lenti rispetto a quelli attualmente necessari. Salvo una possibilità di cui tratteremo oltre.

Abbiamo già detto in altre occasioni che la peculiarità della problematica ecologica riposa su un paradosso. E’ visibile a livello sistemico ma va risolto a partire da quello locale. Ossia quello che richiede visibilità di risultati e soprattutto coltiva i principi di libertà e autodeterminazione.

Di qui il dubbio che i principi affermatisi storicamente a seguito di dure lotte abbiano trovato il loro contesto preferito su due versanti. Quelli del singolo individuo e dei gruppi sociali ristretti. Mentre sarebbero incompatibili col livello ecologico.

L’economia insegna

Un esempio può chiarire l’affermazione. Si prenda la definizione con cui storicamente l’economia, a metà del settecento, si afferma come scienza autonoma. Benchè in essa sia chiaro il contrasto tra i bisogni illimitati dell’uomo e la penuria delle risorse, tuttavia essa sembrava mettere l’accento sulla necessità di ridurre tale divaricazione in favore del primo elemento. La penuria delle risorse, in tale prospettiva, infatti, non rappresentava un vincolo assoluto da cui partire. Ma, al contrario, una sfida da vincere attraverso strategie produttive razionali e scientifiche. Questa impostazione era l’unica che poteva conciliarsi con l’ottimismo scientifico e del futuro. Portando il discorso a quanto da noi suggerito, la dimensione individuale rimane quella preminente a discapito di quella ecologica. E tale contraddizione trova ancora conferma ad esempio in tutte quelle morali che giocano il concetto di libertà come riduzione dei limiti individuali senza fare i conti con la compatibilità ecologica.

Oggi si impone, invece, un rapido rovesciamento di prospettiva. Proprio perchè le risorse sono limitate, va ridimensionato il peso delle scelte individuali. Proprio perchè la penuria delle risorse sta diventando non solo quantitativa ma anche qualitativa (perdita di biodiversità, impoverimento della catena alimentare etc.) bisognerebbe partire da questo dato per limitare le scelte possibili. Secondo una valutazione di impatto che recuperi concetti come quelli di costo-opportunità (ad esempio: se destino un terreno ad uno scopo lo distolgo da tutti gli altri usi possibili) e di entropia (legge fondamentale per cui intrapreso uno scopo, cambiarlo, quando pure fosse  possibile, non è a costo zero).

La metafora del labirinto.

Per spiegare l’entropia, oltre al classico esempio del pezzo di legno che una volta bruciato non possiamo più recuperare, ci sembra utile un altro esempio.

A tutti sarà capitato di perdersi, se non proprio in un labirinto, almeno in un luogo sconosciuto, come la selva oscura di dantesca memoria, ad esempio. Ebbene, una volta deciso un itinerario, a parte l’effetto trappola per cui più ci inoltriamo lungo esso e meno siamo propensi a riconoscere che ci siamo persi,  anche quando ammettessimo la necessità di cambiare percorso, ciò non avverrebbe come se fossimo al punto di partenza. Le energie originarie, infatti, saranno definitivamente perdute.

Così di questi tempi ci si interroga su quali misure potrebbero ottenere effetti significativi contro i cambiamenti climatici. Assistendo persino ad iniziative solitarie di chi decide di piantare migliaia di alberi. Mentre sono le stesse ditte specializzate che, essendo del mestiere,  sembrano animate della maggiore saggezza. Esse si fermano all’osservare che foreste e boschi millenari distrutti dalle multinazionali del legname o dai devastanti incendi di questi tempi, non possono essere rimpiazzati da alberi di qualsiasi tipo e quantità. Ovviamente non si spingono a spiegare un ulteriore problema. Che rimpiazzare artificialmente, cioè ricorrendo al lavoro umano, ciò che la natura ha prodotto autonomamente, comporta un rischio di aggravio delle cause a monte dei disastri ambientali.

Noi aggiungeremmo che non si può a livello individuale o locale risolvere problemi globali. A meno che il livello locale non sia costituito da scelte così diffuse da diventare massa critica.

Ma ciò non può prescindere da una diminuzione dei comportamenti responsabili dei gas-serra.

Ciò significa, dura realtà, reimpostare il nostro modo di vivere, tenendo conto dell’impossibilità di ritorni al passato. Come nel film Madagascar dobbiamo accettare che non c’è più una natura pronta ad accoglierci a braccia aperta.

Altro aspetto problematico è costituito dalle riduzioni degli inquinanti che dovrebbero derivare dalle attività industriali, specie quelle di larga scala.

La mitologia del consumatore responsabile

A questo livello si spera che la pressione della mitica figura del consumatore responsabile sia in grado di fare da deterrente e premiare le imprese più virtuose. Quale sia il tempo necessario perchè ciò possa accadere, rischia comunque di rivelarsi tardivo.

Disse bene da questo punto di vista un esponente del movimento guidato da Greta Thunberg. A livello personale l’efficacia in termini di pressione delle scelte di consumo sono importanti, ma un’industria inquinante è in grado di vanificare le scelte virtuose di popoli interi.

Mas come fermarle? Già Jeremy Rifkin in Economia all’idrogeno, Milano, 2002,  aveva ammonito che l’uscita dal fossile per ciò che  oggi chiamiamo transizione ecologica avrebbe comportato colossali investimenti. Dunque necessità di tempo e nuova accelerazione dell’entropia,

Un dato ottimistico?

Prima di issare  trumpianamente bandiera bianca, però, cogliamo un dato positivo proveniente dalla studio delle generazioni.

Nell’dizionario delle diverse generazioni più recenti, dobbiamo registrare quella denominata generazione Z. Dall’analisi delle sue caratteristiche culturali e delle abitudini di vita, si evidenzierebbe quanto emerge in un intervista a Giuliano De Danieli in Vi spiego perché la Generazione Z è diversa dalle precedenti” , In particolare da un sondaggio del colosso di consulenze Wunderman Thompson Commerce, emergerebbe chiaramente il sentiment della Generazione Z a proposito delle abitudini di acquisto nell’imminente futuro. La ricerca, che ha analizzato le tendenze  dei giovanissimi in fatto di shopping e valori nel Regno Unito e Stati Uniti, ha evidenziato proprio come i giovanissimi siano meno sensibili al fascino del marchio rispetto ai fratelli maggiori (Generazione Y), ma ricerchino nelle aziende qualcosa in più: nello specifico, i valori.

I valori, dunque. A parte la domanda di quali essi siano, ma ipotizzando che siano positivi e amici dell’ambiente,  questo scarico di responsabilità sulle nuove generazioni da poco investite in Italia con un anticipazione del diritto di voto dei senatori (sic!) ai 18 anni, arriverà in tempo? E soprattutto prima dell’irreversibilità delle mutazioni ecologiche? Queste, difatti, sono uscite dalla dimensione temporale geologica e si stanno manifestando con un ritmo crescente dentro l’arco temporale di una sola generazione.

L’ecologia nemica della democrazia?

Tirando le fila: siamo giunti a considerare inconciliabili i tempi ecologici coi tempi imposti dalla democrazia? Più di un simbolo sembrerebbe deporre in questo senso.

Sennonchè senza la democrazia coi suoi valori di libertà e di autonomia, verrebbe meno anche quell’ elemento di resistenza alle difficoltà, fondamentale in un percorso accidentato. Solo se i valori sono praticati e difesi a livello personale, invece, sarà possibile non cedere davanti alle difficoltà e insistere anche quando tutto sembra compromesso.

L’ecologia, dunque, deve basarsi sulla democrazia. Mentre la dittatura è destinata a non trovare basi solide per alimentare la speranza nel futuro.

Pier Gavino Sechi.