Profeti di avventure

Premessa

Il bel libro di Alberto Melucci, L’invenzione del presente, Milano 1991, si apre con la frase “Profeta: colui che parla avanti”. In chiave estensiva il termine può essere anche riferito a chi indica la strada. Ecco perchè si può far coincidere la strada col viaggio e quindi con il futuro.

Lo scopo di questo scritto è quello di collegare i precedenti due brani: il primo dedicato al nostro vaccino contro la malattia dell’oggettività e il secondo alla proposta della clinica dei legami. La clinica in particolare curerebbe il principale effetto collaterale del tramonto dell’oggettività: lo smarrimento e l’angoscia. Quelle passioni tristi di cui parla Baruch Spinoza e riprese da Miguel Benasayag e Ghérard
Schmit.

Il tramonto dell’oggettività e il postmoderno: i pro

Ma perchè sarebbe causa di tanto disagio la perdita dell’oggettività? Anzichè essere vista come il presupposto della libertà di pensiero, di opinione e di scelta?

Ci sono autori, tra i quali il teorico del postmoderno, Jean-François Lyotard autore dell’emblematico La condizione postmoderna, Milano, 1981, che difatti segnalano gli aspetti positivi del fenomeno, tra cui:

  • lo sviluppo delle strutture della società post-industriale, più complesse, flessibili e differenziate rispetto a quelle della società industriale;
  • il declino delle ideologie totalizzanti;
  • la diminuzione di individui dalla personalità autoritaria;
  • l’accresciuta tolleranza e accettazione delle “diversità” etniche, sociali e religiose;
  • l’incremento delle comunicazioni e degli scambi;
  • l’internazionalizzazione dell’informazione, dell’economia e della cultura;
  • la tendenza alla parità tra uomo e donna nella famiglia e nel lavoro;
  • l’accresciuta sensibilità verso i diritti di tutti i cittadini e, particolarmente delle categorie più deboli (anziani, bambini, portatori di handicap);
  • l’indebolirsi del formalismo sociale e delle deferenza verso l’autorità politica e sociale

…i contro.

Tuttavia l’angoscia, dato che non siamo tutti uguali, può essere individuata nella incertezza. Nella perdita dei punti di riferimento. Tanto è vero che finchè la sensazione di incertezza è stata dominata con la fede nella scienza, la condizione di smarrimento è stato tenuto sotto controllo. Ma oggi?

Ed è proprio, per l’ennesima volta, l’attuale esperienza “covidiana” che ci mette di fronte a questa realtà. Probabilmente un secolo fa un’ epidemia altrettanto, se non maggiormente, aggressiva, trovava il suo conforto nelle promesse di una scienza autorevole. Oggi tale autorevolezza fa fatica a spiegare come mai dopo un secolo di promesse di quasi immortalità (per una estremizzazione di tali aspetti vedi Aubrey_de_Grey ) siamo di nuovo sotto scacco e col morale sotto i tacchi, con effetti paragonabili a guerre mondiali non combattute, ma che pensavamo definitivamente alle spalle.

Il tramonto dell’oggettività per Bateson

Eppure la fine dell’oggettività, di per sè, costituisce una conquista e  nasce sotto i migliori auspici.

Ci da ragione del fatto di aver inserito tra i nostri punti di riferimento il pensiero di Gregory Bateson. Dato che ancora una volta è a lui che dobbiamo la svolta. Promossa dal suo testo Verso un’ecologia della mente. Sicchè la nostra attenzione deve passare dal suo testo sinora preso come punto di riferimento, Mente e Natura, a quest’altra precedente e fondamentale opera.

Trasmettere e comunicare: un altro vaccino?

Dato che il nostro obiettivo è quello, come più volte dichiarato, di riscoprire il valore dei nostri giochi come chiavi di lettura e antidoti di quanto ci sta accadendo. Trasmettere e comunicare (vedi sotto) è uno di quelli che si presta a fare da metafora all’intreccio tra diverse linee di pensiero. Allo scopo di spiegare come mai oggi una pandemia come quella del secolo scorso sembra trovarci insospettabilmente così deboli. Malgrado sia passato un secolo e la scienza abbia fatto progressi. E’ come se fossimo ancora all’epoca del trasmettere e non siamo ancora maturi per inaugurare quella del comunicare.

Cosicchè siamo nel guado e nei guai, in quanto non siamo bravi a trasmettere, cosa da macchine e robot, e al contempo comunicare sembra molto umano, troppo umano per noi…

Il gioco che proponiamo mette infatti a nudo le difficoltà ad incamerare dati ed informazioni per poi riferirle ad altri, e mostra come i vuoti siano destinati ad essere riempiti con contributi inauditi (nel senso di non uditi), frutto di nostri tratti personali e al limite del rapporto tra ciò che ricordiamo e ciò che dobbiamo rendere coerente per un discorso trasmissibile. Non a caso tale esercizio svolge un ruolo importante nell’apprendere ad apprendere. Se vogliamo riuscire a ricordare dobbiamo dare un senso logico alle informazioni. E ciò non solo individuando il filo rosso che le lega, mai del tutto coglibile a priori, ma soprattutto quello che sa  tessere l’ascoltatore. Con chiara necessità di fare riferimento ai contenuti essenziali dell’ermeneutica. Che da tecnica di interpretazione di un testo è opportunamente diventata l’arte di costruire il puzzle in cui si presenta la realtà.

Oggettività e soggettività.

Si esprime così a livello generale il rapporto tra due modi di pensare il mondo. O come l’insieme di cose esterne a noi che via via conosciamo, o come l’insieme delle cose che ci rappresentiamo dando loro un significato impossibile da distinguere da una loro presupposta essenza.

Ecco, l’insegnamento di Gregory Bateson in Verso un’ecologia della mente, si inserisce in quel tentativo di passare da un modo oggettivo di vedere la realtà all’idea per cui essa viene creata da noi, da ciascuno di noi.

Il terreno che ha maggiormente risentito di questo cambio di modo di pensare è stato sicuramente quello della scienza. Che si trasforma da strumento con cui conoscere una realtà da scoprire a  metodo con cui organizzare i dati via via raccolti assecondando la soggettività del ricercatore.

Le cliniche del legame.

Se la realtà va costruita e anzi co-costruita attraverso il confronto con gli altri, per cui si spiega la riscoperta della maieutica, di cui va valorizzata la versione reciproca proposta da Danilo Dolci,  si riduce il ruolo dell’esploratore solitario e acquista importanza il dialogo con cui si condividono ipotesi su come è fatta la realtà.

Ma questo costruzionismo obbligatorio ci vede preparati?

Poichè la parola è passata alle culture costruite da gruppi e nei singoli luoghi, nessuno dei quali può essere centro e neppure periferia, è questa la sfida che abbiamo di fronte. Creare legami per la condivisione. Resta da verificare se l’individualismo pratico che la logica della scoperta di una realtà oggettiva e dunque unica fonte di verità da diffondere, abbia lasciato margini per il risveglio di passioni allegre. Tanto da riuscire a prevalere su quelle tristi descritte nel saggio L’epoca delle passioni tristi.

Il paradosso del tempo.

Ritorna il dubbio di diversi dei nostri scritti: per educare alle passioni allegre ci vuole l’educazione ai sentimenti. La quale a sua volta richiede tempo. Senza la dimensione tempo, quella cairologica, non solo e non tanto quella cronologica il rischio è che si incorra nel paradosso del sii spontaneo. Costringere le persone a provare spontaneamente  sentimenti è, difatti, una contraddizione in termini.

Perciò il primo capitolo dell’educazione ai sentimenti deve essere dedicato a credere che ci sia tempo sufficiente per imparare a provare sentimenti e passioni allegre.

Pier Gavino Sechi.