Premessa.
Nave è il titolo del gioco (vedi sotto) che presentiamo accompagnato da un disegno creato da uno degli autori di Percorsi di formazione alla nonviolenza, Torino 1992. Antonello Soriga, per essere precisi.
Lo strumento si rivela utile per molteplici finalità.
Da un lato per capire se il ruolo che riteniamo di avere in contesto, come un gruppo ad esempio, ci viene o meno riconosciuto.
In secondo luogo per farci capire se tale attribuzione varia nel tempo. Per cui si presta ad un uso frequente per monitorare tale livello.
In ulteriore analisi per rendere chiaro come i differenti ruoli e compiti interni ad un gruppo siano tutti necessari per arrivare alla meta. Se non addirittura per la sua stessa esistenza.
L’irresistibile fascino della nave
Nella descrizione del gioco balza subito agli occhi un aspetto interessante. Cioè che esso avrebbe benissimo potuto usare e quindi intitolarsi “treno” o aeroplano. Dal punto di vista dell’utilità non sarebbe cambiato nulla. E allora perché la scelta è caduta sulla nave? Malgrado il manuale da cui il gioco è tratto allude nel suo sottotitolo viaggi in training al treno su cui peraltro è stata scattata la foto della retrocopertina? (Ma la stessa introduzione lo usa come filo conduttore).
Peraltro chi vi parla si trova a bordo di una navicella spaziale. A riprova che anche quando non è più il mare l’ambiente in cui dobbiamo muoverci, l’idea della nave viene riconfermata.
A che cosa dobbiamo questa sua forza ispiratrice?
Credo possa dipendere dal fatto che agli albori della storia umana costruire un mezzo per andare per mare segnasse il superamento di un crinale. Il passaggio da una sopravvivenza subita, ad una attiva, più audace, di sfida contro l’ignoto.
Costruire un mezzo capace di tenere il mare, del resto, presupponeva aver raggiunto il controllo del territorio e la sconfitta di pericolosi predatori.
Per chi però ritiene come noi che il viaggio sia più importante della meta (se non la metà stessa) come sarebbe possibile preferirei altri mezzi di trasporto? La velocità del treno e dell’aereo, infatti, tendono progressivamente a diminuire il tempo riservato al viaggio. Come un fastidioso ostacolo destinato a sparire come promessa dell’epoca mitologica del teletrasporto.
L’orizzonte come meta e come limite
Un altro motivo per scegliere la nave specie nel passato ma pure oggi potrebbe avere a che fare con questo. Solo via mare si può avere l’illusione di raggiungere l’orizzonte. Una linea agognata e temuta allo stesso tempo. Che attrae e respinge, secondo quel dualismo ben descritto in Roger Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Milano, 2000.
Solo sulla nave sopravvive un altro fondamentale dualismo. Il movimento percipibile dall’oblò (guardando le onde) e lo stato di quiete al suo interno.
…..CONTINUA…..
Pier Gavino Sechi.