Nel precedente brano ci siamo riproposti di iniziare un percorso di temi e spunti di riflessione per provare a fare il punto della situazione, a raccogliere le idee e a tirare il fiato per meglio affrontare lo sbigottimento di questo momento. Dato che la tanto celebrata complessità sembra oggi dover fare i conti con la semplicità di meccanismi biologici, come quelli di un contagio virale, che ne mette a nudo la fragilità.
Perciò abbiamo immaginato, come perduti in un bosco, di provare a mettere in fila tutte le nostre conoscenze formali e informali per uscire dal labirinto.
Ad un tentativo di questo genere si ispira uno dei classici punti di riferimento del nostro patrimonio sia culturale che ludico. L’avevamo anticipato, si tratta di Gregory Bateson, il quale intitola Ogni scolaretto sa che… un corposo capitolo del libro Mente e Natura, Milano, 1984.
Poiché, per ogni essere umano, i primi anni di vita danno una impostazione significativa al resto della sua esistenza, non ci sembra azzardato aprire la serie di brani, da questo in poi, collegandoli col titolo Ogni terrestre dovrebbe sapere che…Col condizionale che sta ad esprimere non tanto il nostro minore ottimismo rispetto a quello di Bateson per i bambini, quanto, invece, la consapevolezza della difficoltà di spiegare e condividere proposte che oggi, dopo tanto tempo, potrebbero apparire datate. Perciò di tutti i punti fermi di questo autore ci limitiamo a riproporre quelli più influenti sul generale modo di pensare ed agire nell’affrontare i problemi attuali. Senza trascurare che essi molto spesso non sorgono da soli, ma sono, piuttosto, il risultato di soluzioni errate. Illuminante, da questa punto di vista, è ricordare anche la distinzione persino tra difficoltà e problema che troviano in Paul Watzlawick, J.H. Weakland, R. Fisch, Change, Roma, 1974.
La prima consapevolezza, che dovrebbe possedere ogni terrestre oggi, sarebbe che la percezione si genera dalla differenza.
Ciò rappresenta tuttora un insegnamento scomodo, per noi abituati a considerarci soggetti investiti di dati sui quali fondiamo la nostra conoscenza della realtà. In verità noi conosciamo per contrasto, per contrapposizione tra elementi differenti: non conosceremmo il buio senza la luce e, se tutto fosse azzurro, neppure conosceremmo l’azzurro. A volte, se non vedessimo, non sapremmo neppure se siamo a contatto con un pezzo di ghiaccio o con una fonte di calore.
In un’epoca di arroccamento e di difficoltà di rapportarsi al diverso, si ritiene che eliminandolo si possa ripristinare l’ordine e la buona pace dell’io. In verità verrebbero alla luce altre differenze che prima erano destinate a rimanere sotto il livello della percezione. Pertanto, il contrasto non può essere considerato come un terreno su cui misurare la nostra elasticità mentale, ma, dato fondamentale dell’insegnamento di Bateson, è che, senza di esso non esisterebbe neppure la nostra capacità di definirci.
Lo stesso pensiero scientifico per l’autore procede a tentoni. La scienza non serve a dimostrare la verità ma a spiegare quello che già vediamo. La scienza non dimostra ma esplora, va per tentativi ed errori. Procede aggiungendo piolo dopo piolo ad una scala che non si sa dove condurrà.
Molto interessante, nell’ottica di provare a cogliere gli aspetti pragmatici di tali proposte, è l’esercizio cui l’autore ci sottopone, sotto forma di completamento di una successione di numeri. Fino al momento della loro interruzione cerchiamo di ricavare gli indizi per immaginare il numero che la prosegua, attingendo preferibilmente alla soluzione più semplice, secondo la nota legge economica della parsimonia o del rasoio di Occam. Solo se il numero supposto è sbagliato, cominceremo a rivolgerci a soluzioni più complesse, cercando di unire le ipotesi che ci eravamo fatte prima con le risposte negative (l’errore funge da feedback dentro un processo stocastico) che ci dà chi ci sta sottoponendo all’esercizio. Ci sarà un momento in cui, se non siamo riusciti dopo molti tentativi a risolvere il problema, se non ci siamo scoraggiati e gettato la spugna, dobbiamo cominciare a mettere in discussione le soluzioni (o il tipo di soluzione) sino a quel momento tentate. Sino a non escludere l’ipotesi che non ci sia alcun numero che prosegue la successione.
Incrociando l’insegnamento di Bateson con quello di altri autori del suo gruppo (la scuola di Palo Alto), dobbiamo essere sempre pronti, davanti alla soluzione che non arriva, a considerare parallelamente sia la soluzione dentro lo schema, la soluzione detta di tipo 1, sia quella esterna ad essa, di tipo 2, la cui forza si consolida mano mano che, come i petali di un fiore, si sfogliano le soluzioni “simili”.
Se ci pensiamo, nel corso di questo periodo di contrasto al Covid 19, si sono confrontate strategie per combatterlo molto diverse tra loro, ma, tuttavia riconducibili al medesimo schema.
Non risponde infatti alla strategia del primo tipo (detta anche del più di prima) la serie di provvedimenti volti a circoscrivere sempre più il movimento delle persone, ben consapevoli che un cambiamento di tipo 2 si potrà avere, forse, solo con l’introduzione di un vaccino?
Sarebbe interessante poi chiederci in quale tipo di approccio inserireste la strategia attendista ispirata alla teoria dell’immunità di gregge. Appartiene al più di prima, benché consista nel NON adottare alcuna misura restrittiva? Oppure è frutto di un colpo di genio tipico di molte soluzioni che si pongono fuori dallo schema e che partono dal presupposto che in quel momento sarebbe la soluzione (le misure restrittive) a rappresentare il problema?
L’interesse delle proposte batesoniane sta comunque nella loro trasversalità e attualità, di cui possiamo provare a dare conto con questo ulteriore esempio storico.
Come venne affrontata dagli economisti la grande crisi economica del 29-32 del secolo scorso?
Anche in quel caso si confrontarono almeno due linee d’azione. La prima, quella propugnata dagli economisti classici, sosteneva che la crisi fosse destinata a risolversi senza alcun intervento esterno al mercato. L’altra, invece, fu sostenuta da chi riteneva necessario nel sistema economico l’intervento, per la prima volta in misura determinante, dello Stato.
Qual’è però la differenza di fondo tra i due esempi che stiamo analizzando? Che nel caso della grande crisi le due teorie non si confrontarono ad armi pari. Nel senso che prima si dovette constatare il fallimento dell’approccio classico per aprire il campo all’impiego del secondo, ossia della teoria di John Maynard Keynes, considerata eretica sino a quel momento.
Ciò cui invece assistiamo oggi è che le diverse strategie sembrano avere tutte pari dignità e i danni provocati dall’applicazione di una possono servire alla ricalibrazione o al rinforzo di un’altra.
Come si vede l’insegnamento di Bateson conserva la sua efficacia. Dalla differenza di risultati sorge la maggiore conoscenza del quadro in cui intervenire.
L’esercizio che proponiamo oggi, intitolato Trasmettere e comunicare (vedi sotto), applica quanto stiamo dicendo alla comunicazione umana.
Senza contrasto d’opinioni assistiamo, si direbbe, ad un mero processo trasmissivo. E il che costituisce il primo livello di lettura del gioco proposto. In realtà sussiste un altro livello. Quello rappresentato dal confronto tra chi recepisce un messaggio e il contenuto di questo. Senza uno schema strutturale in cui inserire le informazioni non si ha neppure un’efficace incameramento dei dati. E come può invece avvenire ciò? Attraverso l’attivarsi delle maglie di una struttura che sappia per contrasto inglobare la serie di nuovi dati in entrata.
Quando ci riferiamo alla necessità di incuriosire il nostro interlocutore affinché egli possa trovare interessante quanto gli diciamo e lo faccia proprio, operiamo propriamente in questo modo. Facciamo che le sue aspettative (pregiudizi) vengano in qualche modo “sorprese” da dati che egli non s’aspettava e che, in quanto contrastano con le informazioni di cui disponeva, possano creare quel benevolo cortocircuito che lo porti a trovare interessante quanto gli stiamo offrendo. Anche in questo caso abbiamo di fronte un fenomeno di contrasto da cui nasce la conoscenza. Non possiamo, da questo punto di vista, esimerci dal ricordare la figura di Maria Montessori, di cui ricorre in questi giorni il centocinquantesimo anno della nascita, la quale non solo per la prima volta sostenne la figura del bambino come soggetto e non come semplice oggetto dell’educazione, ma fu la prima a mettere in relazione la dimensione sentimentale con l’apprendimento. Si insegna emozionando, può essere considerato, infatti, uno dei capisaldi del suo pensiero.
Ma ci sembra utile ricordare anche l’insegnamento di Lev Semënovič Vygotskij, del quale non possiamo non citare Pensiero e linguaggio, Firenze, 1966. Egli mette in particolare l’accento sulla misura della differenza tra la novità e il bagaglio di conoscenze pregresse. Essa non deve essere eccessiva, pena il rischio che sia percepita come dirompente e possa dare luogo al suo rigetto.
Essere capaci di calibrare le novità, indubbiamente, non è operazione semplice, anche perché presuppone che il circuito di conoscenza sia presidiato da un soggetto (l’adulto, l’educatore, la persona più esperta nell’insegnamento tra pari) che assume l’iniziativa e si fa carico della ricalibrazione alla luce dei feedback di risposta offerti dal destinatario.
Eppure, a parte ogni considerazione circa il fatto che il circuito di conoscenza può essere auto- organizzato, in altre parole, cioè, che l’apprendimento possa avvenire anche senza “maestri”, questa operazione di calibrazione delle conoscenze è stata all’origine dei primi tentativi di costruire la cosiddetta verità. E il metodo che per primo rispondeva a tali caratteristiche è quello socratico. La verità si costruisce col dialogo fondato sull’alternarsi tra la domanda e la risposta. Operazione che si arresta, sebbene provvisoriamente, sino a che quanto viene affermato regge al vaglio delle ulteriori domande cui viene sottoposto. La verità non è rivelata dal maestro (egli sa solo di non sapere), dunque, ma viene co-costruita.
Ecco perchè c’è chi sostiene che la verità rivelata delle religioni sarebbe un ossimoro, in quanto si basano sulla fede.
Il dialogo socratico e la maieutica è stata ripresa anche nell’ambito della cultura nonviolenta attraverso pratiche che si rifanno, ad esempio, all’insegnamento di Danilo Dolci, di cui occorrerà riprendere i contributi quando parleremo del concetto di maiuetica reciproca, che riteniamo fondamentale per la costruzione di quella competenza che oggi ogni terrestre dovrebbe possedere e che risponde al nome di problem solving.
Pier Gavino Sechi.