La torre e il formicaio.

Premessa.

Il gioco che presentiamo oggi dal nome Torri (vedi sotto), ci da una duplice opportunità. Da un lato ci permette di esplorare una peculiarità di tanti nostri esercizi tradizionali, ossia la contemporanea presenza nello stessa esperienza di una delle classiche antinomie cooperazione-competizione. E dall’altro di esplorare la doppia natura di ciascuno di noi, e di cui abbiamo accennato in precedenza: essere diversi dagli altri 9 miliardi abitanti di questo pianeta e al contempo di appartenere, come tutti, alla stessa specie con caratteristiche ben determinate.

Ma non è finita. Torri ci permette di riflettere, come stiamo cercando di fare in tutti questi mesi, su ciò che l’attuale pandemia sta determinando dal punto di vista dei vincoli oggettivi cui dovremmo soggiacere per un contrasto efficace. Ma, sia ben chiaro, non ci stiamo tanto riferendo a quelli che limitano l’esercizio di libertà che prima, data la loro ampiezza, spesso ci dimenticavamo di avere. Ma a qualcosa di più profondo. Cioè a quella sorta di zoccolo duro della realtà che in qualche modo fa giustizia di tutte le ipotesi e le teorie che si sono spese nell’analizzare il nostro rapporto con la Realtà.

Realtà e realtà.

Per fare ciò ci serviremo di un celebre intervento che Umberto Eco tenne a New York nel novembre del 2011 sul tema “postmoderno e neorealismo”, nel contesto di un dibattito sulla fine del postmoderno. Di cui La Repubblica diede conto con un articolo del’11 marzo 2012.

In quell’occasione, il noto semiologo, spiegava la sua posizione da realista negativo che consisterebbe nel ritenere che se ogni ipotesi interpretativa è sempre rivedibile e perciò non si può mai sostenere se una interpretazione sia giusta, si può almeno sempre dire quando è sbagliata.

Come si conosce la realtà.

Umberto Eco, già nel suo scritto  Brevi cenni sull’Essere del  1985 in Francesco Barone e al., Metafisica: il mondo nascosto, Roma-Bari,1997, aveva già chiarito la distinzione tra vetero realismo, secondo cui  il mondo sta fuori di noi a prescindere dalla conoscenza che ne possiamo avere, e una serie di altre posizioni  per le quali la conoscenza funziona diversamente. Cioè sulla base della collaborazione tra soggetto che conosce e la realtà, distinguendosi per il ruolo dell’uno o dell’altra ma restando fermo che la seconda sarebbe conoscibile solo in via indiretta. All’estremo opposto del realismo si porrebbe, infine, la tesi che non esistono fatti ma solo interpretazioni (idea che parte dallo stesso Nietzsche e che noi abbiamo ritrovato di Gadamer).

Ed è a questo punto che si inserisce l’idea che se non ci sono fatti ma solo interpretazioni, ciò non esclude che ci possano essere per caso interpretazioni «cattive».  Il mondo quale ce lo rappresentiamo è certamente un risultato della nostra interpretazione, ma quale è il criterio che ci permette di distinguere tra sogno e invenzione poetica e affermazioni accettabili sulle cose del mondo fisico o storico che ci circonda?

Il realismo negativo.

Di qui l’idea di un Realismo Negativo che si potrebbe riassumere come detto sopra: se non si può mai dire definitivamente se una interpretazione sia giusta, si può sempre dire quando è sbagliata. Ci sono, difatti, interpretazioni che lo stesso oggetto da interpretare non ammette. E per spiegare il concetto Eco ricorre al seguente celebre esempio del trompe l’oeil. Posso interpretarlo come trompe l’oeil che intende ingannarmi o come porta vera (e aperta). Ma se l’interpreto come vera porta aperta e cerco di attraversarla, batto il naso contro il muro. Il mio naso ferito mi dirà che il fatto che cercavo di interpretare si è ribellato alla mia interpretazione.

In altre parole: esiste uno zoccolo duro dell’essere, per cui alcune cose che diciamo su di esso e per esso non possono e non devono essere prese per buone.

LaTorre di Babele.

A questo punto possiamo servirci del gioco Torri come metafora che si contrappone alla ben più celebre metafora della Torre di Babele.

Alla proliferazione, in nome della libertà di opinione , delle molteplici visioni ed interpretazioni del mondo, rispetto alla quale, come visto, Umberto Eco mette in guardia, possiamo realisticamente contrapporre i limiti derivanti dall’organizzazione che in termini moreniani, come impone vincoli così pure porta a innegabili benefici.

In altre parole la pandemia di questa seconda ondata ci impartisce la lezione per cui si possono avere le idee più disparate sulla realtà, ma alla fine  tocchiamo con mano che difendersene non è nè di destra neè di sinistra. Al limite le differenze ideologiche sembrano manifestarsi sul colore della mascherina, ma non più sulla necessità di indossarla.

In fondo è questo il colpo più duro inferto alla libertà. Essere tutti costretti, come già avevamo detto nel brano La metafora dell’acqua e la vendetta della fisica ad accettare il ritorno prepotente delle scienze “numeriche”  dopo che ci eravamo abituati a ragionare in termini di complessità. E a preferire modelli di ragionamento ispirati piuttosto alla meteorologia. Eravamo d’accordo con un Stephen Hawking che aveva paragonato la biologia alla botanica (troppo descrittiva ed imprecisa) e con un Erving Lazlo che nel suo Evoluzione, Milano, 1986 ci parla dell’Effetto farfalla estendendolo dalla meteorologia alla descrizione delle organizzazioni sociali.

La torre di Babele e il formicaio.

Sennonchè sembra proprio che discipline tanto bistrattate stiano assumendo l’ingrato compito di farci riprendere contatto con la realtà, quella in cui il dolore per il naso rotto è più forte del tentativo di addomesticarlo con le parole, come cercavano di farci da bambini per anestetizzare gli effetti di una caduta sulle ginocchia sbucciate. In chissà quanti muri è capitato si leggere che “solo il dolore è vero”

La torre di biblica memoria che pietra dopo pietra abbiamo cercato di innalzare in nome della libertà sembra meno solida di un formicaio che si estende con sicurezza per il suolo e al di sotto di esso.

Questa è la fase in cui pare che la libertà individuale venga piegata al servizio della specie.

Sarà la gravità del pericolo incombente che ci fa serrare le fila e giocare la carta della socialità, non importa se convive con l’obbligo del distanziamento fisico?