Si, viaggiare.

Premessa.

Oggi facciamo una apparente eccezione alla regola. Non descriveremo in particolare un gioco tra quelli della nostra tradizione. Ma parleremo di ciò che li ricomprende tutti: la metafora.

Anzi parleremo delle metafore che negli anni abbiamo utilizzato nella nostra esperienza del training alla nonviolenza.

Quella che a sua volta offre lo sfondo per tutte le altre che abbiamo via via utilizzato è senz’altro quella del viaggio. Insomma, oggi parleremo in particolare di due tipi di metafore che hanno caratterizzato la nostra attività di trainers. Una è quella che consisteva nel calare i partecipanti al training in un contesto metaforico, cioè una storia in cui giocare un ruolo. L’altra è stata quella di conferire molto spesso alla storia la dinamica del viaggio.

Il viaggio in sé, peraltro, oggi ci pare un elemento di analisi paradossale  nel cuore della cosiddetta seconda ondata pandemica della Covid 19. Dato che ciò che soprattutto viene messa in questione, in questo periodo, è la possibilità stessa di spostarsi e dunque si, di viaggiare.

Allora non può che apparire congrua la memoria di un libro che dimostra che viaggiare è soprattutto un moto interno prima che un mero trasporto fisico da un luogo ad un altro. Persino la concezione della morte stessa come un viaggio, lo attesterebbe, facendo intravedere la dimensione del viaggio proprio nella negata possibilità stessa del movimento dal rigor mortis. Si tratta dell’opera di Jack London, Il vagabondo delle stelle. Una lettura che inneggia a credere che pure nelle privazioni estreme possano scorgersi barlumi di possibilità. Si tratta dell’ultimo romanzo dell’autore scritto del 1915, alla vigilia dell’altra terribile ondata pandemica, la cosiddetta Spagnola, che alla fine della prima guerra mondiale ne proseguì l’opera distruttrice causando 50 milioni di morti.

La metafora: oltre la meta

Per tenerci in allenamento di fronte a quel gioco di variabili indomabili che è la realtà, diventa utile imparare a giocarci con la consapevolezza che il giocatore non potrà dominarle ma è anch’egli parte del gioco. Non si tratta di rassegnarci, come abbiamo detto la settimana scorsa, all’idea di un uomo dalla razionalità limitata che invidia la razionalità della macchina, ma di ritenere che non sia possibile e forse neppure auspicabile aspirare ad una razionalità piena.
Pertanto, al di là o forse come più efficace forma di difesa automatica, la metafora può rappresentare una mappa interpretativa della realtà.  E quando essa assume la forma del viaggio si aggiunge un secondo livello di complessità che ci invita a rinunciare a tenere lo sguardo fisso sulla meta per concentrarci sui microcambiamenti, come gli scossoni sul treno in corsa. Resistere può farci perdere l’ equilibrio mentre assecondarli  ci rende più pronti in caso di frenate improvvise.
Non diversamente fa l’equilibrista sul filo. Non guarda la meta ma il filo e il suo equilibrio non è frutto di rigidità ma di micromovimenti di assestamento che assecondano quelli della corda,  a sua volta mossa dai suoi stessi passi. Un vero e proprio esempio di equilibrio instabile, ma pur sempre di equilibrio che si adatta ai cambiamenti

Di per sé la metafora produce quel diaframma protettivo che ci mette a giusta distanza dai fatti. Come le lenti da sole. Ci permettono di guardarlo ma senza perdere la vista.

In passato abbiamo detto che il gioco rappresenta un guscio che ci permette di vivere pienamente una esperienza senza che però  temiamo le conseguenze che scatterebbero nella realtà.

Una sorta di palestra in cui allenarci e fortificarci per meglio fronteggiare la realtà.

La metafora offre qualcosa di più. E’ un metagioco che rende costante l’effetto del gioco, in quanto traduce dentro i suoi schemi l’intera realtà. Se il gioco è perciò un guscio dentro la realtà, la metafora la avvolge interamente.

La metafora del viaggio.

Ma che cosa aggiunge il viaggio alla metafora in sè?

Nel nostro patrimonio ludico l’idea del viaggio ha rappresentato il naturale filo di collegamento tra i singoli giochi. Ma non solo nel senso che bastava metterli in coerente successione all’interno del percorso scandito dall’agenda. Semmai il collegamento si definiva a priori attraverso, appunto, l’ideazione di una storia ispirata all’idea del viaggio. Così è avvenuto sia per singoli training della durata di un fine settimana, che per progetti dalla durata di mesi, come quelli realizzati all’interno di contesti formalizzati, come la scuola. Si pensi, solo per fare qualche esempio, al progetto dell’Arca di Noè o a quello del Viaggio nello spazio.

Anche a seguito del consolidamento del patrimonio ludico, diventa infatti possibile cambiare l’approccio stesso all’organizzazione del training. Si passa cioè dalla fase iniziale in cui si presentano i giochi certamente legati da una sequenzialità logica (in termini di difficoltà ad esempio o alternando quelli emotivi a quelli concettuali) ad una  in cui prima viene concepita la metafora e poi al suo interno i singoli giochi servono per metterne in luce aspetti problematici da sottoporre al confronto.

E’ questo il momento in cui i giochi originari danno vita alla maggiore molteplicità di  varianti. Dando ulteriore dimostrazione che essi acquistano il significato in relazione al contesto in cui vengono inseriti.  Non prestandosi a fare da rigido ricettario per piatti dal risultato scontato. Forse è questa la maggiore  differenza che passa tra il nostro modo di intendere l’attività ludica e quella di altre pratiche come quella dello scoutismo.

Il gioco del viaggio e il gioco nel viaggio: non solo un gioco di parole.

La metafora del viaggio è la mappa più rispondente all’altro viaggio per eccellenza che è la vita.