Premessa.
Il brano di oggi prende ancora le mosse dal gioco presentato la settimana scorsa: Ruoli di giochi.
Per sollecitare un balzo in avanti. Nel senso che se finora abbiamo cercato di descrivere e valorizzare i giochi del nostro patrimonio, ora si tratta di porci la domanda, non già a che gioco giochiamo, bensì: che gioco siamo?
E ciò a coronamento non solo del tentativo di definire il gioco come un’ attività non più confinata a determinati momenti del quotidiano. Ma allo scopo di identificare la vita stessa come un gioco. Proprio perché del gioco ne presenta tutte le caratteristiche.
Gioco e vita.
Non è un caso che siano stati numerosi gli autori che hanno riflettuto sul gioco come metafora della vita.
A partire da Ronald Laing che la definisce come quel gioco di cui cerchiamo di scoprire le regole senza definirla un gioco.
Passando per un’autrice come Mara Selvini Palazzoli che paragona ciascuno di noi a un giocatore di carte intento a fare le mosse giuste in funzione di quelle che ha nel mazzo. Con tanto di licenza di bluff…
Sino a giungere a chi come Hans-Georg Gadamer effettua l’ulteriore passaggio di osservare che la vita è un gioco in cui siamo al contempo giocatori e posta in palio. Per dire che non siamo noi che giochiamo ma è il gioco che “ci” gioca.
Ciò, a mio avviso, da conto in modo lucido della circostanza che la metafora del giocatore di carte da per scontata la conoscenza delle regole del gioco. Mentre la vita non offre regole prestabilite poiché spetta al giocatore stabilire le proprie.
Una metafora che media tra quelle suddette è quella, sempre suggerita dallo stesso Gadamer, con cui paragona la vita al gioco della palla. Il bambino, ma non solo, quando gioca con la palla non è solo l’ artefice del gioco ma è anche soggetto alle variabili traiettorie della palla. Persino laddove, cioè, i limiti del campo e le regole del gioco siano codificate, le variabili attive al loro interno sono tali da rendere possibile quella alea che scongiura la noia di un risultato prevedibile.
Il gioco della vita.
Ma quali sono più precisamente gli elementi che identificano il gioco e la vita?
Certamente, in primo luogo, come accennato, il caso. Compreso quello legato al nostro essere nati. Non l’ abbiamo scelto di nascere, al limite siamo nati per scelta operata da altri. E ciò non è da poco. Tanto che alcuni autori individuano in ciò il possesso di diritti che si riflettono in speculari doveri a carico di altri. Fino a ritenere che tale forma di credito debba essere riconosciuta non solo a chi è già nato, ma persino a chi non è ancora nato.
Un ulteriore aspetto dell’ incertezza riguarda il non sapere quanto durerà la vita. In un precedente brano, descrivendo il gioco Quattro tribù, abbiamo visto quanto disporre o meno di quel dato conformi l’esistenza stessa.
Del resto se conoscessimo in anticipo il momento in cui cesseremo di vivere probabilmente non vivremo. Prova ne sia che è sufficiente non averla del tutto quella certezza per voler continuare a vivere, come e’ confermato dal fatto che chi pur avendo un male incurabile coltiva ogni speranza di guarire.
L’ altro elemento è rappresentato dalla difficoltà non solo di programmare il futuro, ma di ottenere quanto programmato.
Come se le traiettorie dei nostri movimenti siano costantemente deviate o persino bloccate da quelle degli altri.
Sino a ricordarci dell’ eterogenesi dei fini. Per cui più vogliamo qualcosa e meno si realizza. O persino finisce per realizzarsi il suo opposto.
Il mito della razionalità.
A tutto ciò si aggiunga che la nostra specie, per quanto in grado di percepire il futuro, non eccelle per capacità di condizionare le scelte in funzione degli eventi futuri. Cosa che, invece, riesce molto bene ad altre specie dotate di un meccanismo biologico in grado, ad esempio, di limitare le nascite in funzione delle risorse disponibili (come ad esempio fanno i ratti).
Si suol dire che la specie umana, difatti, si caratterizzi per il possesso di un grado di razionalità limitato.
Dunque vi sono tutti gli elementi per cui la concezione della società liquida, è il caso di dirlo, sembra piova sul bagnato.
Con un modo di procedere di navigazione a vista che non è segno di patologia, ma di normale condizione. Con la conseguenza che ciascuno escogita le proprie chiavi di lettura per orientarsi tra i flutti.
Di qui la domanda: voi come fate? Che gioco pensate di essere? Quale metafora pensate vi si adatti? Nel mio caso, il cacciatore di metafore.
Pier Gavino Sechi.