A che gioco giochiamo?

Premessa.

L’esercizio n. 80 del testo Reti di formazione alla nonviolenza, Torino, 1999, rappresenta un punto di svolta.

Già il suo titolo Ruoli di gioco è molto significativo da questo punto di vista. Con esso, infatti,giunge a compimento una fase decisiva del nostro discorso. Cosicchè, prima di proseguirlo, ci sembra necessario fare in breve il punto della situazione dopo i diversi contributi sin qui pubblicati. Tutti uniti dal filo rosso di come uscire dall’ emergenza sanitaria senza rimanere ostaggi di convinzioni e presupposti che in qualche misura hanno contribuito a generarla. Col risultato di fare da facile preda ad una seconda e più devastante ondata pandemica.

Perché, in effetti, oggi, 13 novembre dell’anno del Signore 2020, ci troviamo  proprio a questo preciso punto. Cosicchè la domanda che sorge spontanea è proprio questa:  “A che gioco giochiamo?”. Che non è solo la domanda provocatoria che rivolgiamo a chi cerca di prenderci per il naso, ma è soprattutto evocativa del titolo del capolavoro di Erich Berne, A che gioco giochiamo, Milano 2000, il fondatore dell’ Analisi_transazionale

Dalla medicina alla clinica.

Il tutto è partito rovistando nella nostra valigia degli attrezzi del buon trainer alla ricerca, tra i giochi descritti nei nostri manuali quelli più adatti a fare da vaccino culturale in attesa della panacea del vaccino sanitario. Perché, parliamoci chiaro, senza il primo, anche avendo a disposizione il secondo, saremmo di nuovo inermi davanti ad un altro virus…

Tra i possibili “medicinali” abbiamo rinvenuto antidoti significativi: quello contro l’isolamento che investe sulla cooperazione (il gioco del dilemma del prigioniero). Quello contro il complottismo per evitare di cadere nella trappola dell’impotenza (vedi il gioco l’infiltrato). Quello contro l’oggettività, per accettare la sfida della complessità (vedi il gioco del teatro invisibile).

Il brano precedente, dedicato al gioco di ruolo ha inaugurato una fase nuova. Ossia il tentativo dentro l’idea della clinica del legame (dalla medicina siamo passati così alla clinica) di disporre di un laboratorio permanente in cui allenarci al gioco della complessità. Pertanto il punto in cui ci troviamo indica il gioco in sé come la cura decisiva. Il gioco inteso non come un momento particolare della nostra vita, magari utile per evadere dalle difficoltà quotidiane, ma come coincidente con la vita stessa.

In questa prospettiva l’elemento che assume un ruolo fondamentale è l’ironia. Non a caso indicato come l’elemento comune al nichilismo attivo e al post moderno. E in grado di reggere ad un’ulteriore e più attuale definizione del nostro tempo come ipermodernità, per stare alla proposta di Gilles Lipovetsky in  Hypermodern Times, Cambridge, UK, 2005.