Assertività

Premessa.

Nel brano precedente ci siamo lasciati con un interrogativo. Come è possibile coniugare libertà e adesione ad un gruppo e alle sue regole?

La realtà del gruppo, infatti,  costituisce un terreno in cui si manifestano tutta una serie di ostacoli che impediscono di fare tutto ciò che in teoria sarebbe possibile per chi non ne faccia parte. Lo storming, di cui abbiamo parlato nel contesto della teoria delle fasi di vita del gruppo di Bruce Tuckman, in effetti assolve proprio alla funzione di conciliare, per approssimazioni e aggiustamenti successivi, le istanze individuali e quelle imposte dal gruppo. Devono armonizzarsi in particolare almeno due livelli, che peraltro si influenzano a vicenda: quello del rapporto tra persone e quello legato ai ruoli, ossia agli aspetti organizzativi.

Se pensiamo ad una metafora lo storming si configura come una stanza degli specchi (metafora che è stata usata per il gruppo nella sua interezza) in cui il comportamento di ciascuno rispecchia e tiene conto di quello degli altri. Oppure come una vasca nel cui liquido le persone si muovono sino a che non si crea un equilibrio dinamico.

Come accennato in precedenza, questa fase si rivela meno conflittuale se i componenti del gruppo hanno la virtù chiamata assertività.

E’ questo un termine che sicuramente meglio si presta a sostituire quello di aggressività che nella teoria nonviolenta è alternativo al termine violenza. Per chiarire il concetto che la rinuncia alla violenza non implica la rinuncia alla forza. Anzi, se si rinuncia alla violenza, la forza necessaria per far valere i propri diritti deve essere maggiore. Perciò si è sempre ricorso al termine aggressività, rimarcandone il carattere naturale. Laddove la violenza connoterebbe piuttosto i mezzi con cui essa si esprime.

Noi porte blindate di cui speriamo trovino la combinazione

Il gioco che presentiamo oggi, dal titolo Chiavi e porte con la sua variante Nomi e porte (vedi sotto) ci sembra molto adatto per trattare in modo più poetico l’argomento dell’assertività. Naturalmente non è l’unico nell’ampio campionario di strumenti presente nei nostri manuali. Tuttavia, possiede quel carattere metaforico necessario perchè un gioco possa rientrare in una ipotetica agenda sul tema. Come vedremo dopo, infatti, l’assertività si compone di un insieme di qualità personali che rendono chi le possiede ben in grado di vivere con spirito aperto e creativo, non difensivo, la fase di storming del gruppo. E ciò pure nel caso in cui dovesse essere l’unico ad averle.

Le posizioni esistenziali

L’assertività viene definita comunemente in due modi. Come qualità in se definita e come posizione esistenziale.

Nella prima accezione può essere considerata come la capacità di affermare se stessi in modo chiaro e deciso ma nel contemporaneo riconoscimento di analoga possibilità in tal senso agli altri. In altre parole, senza che la propria affermazione avvenga a discapito degli altri.

Non può sfuggire l’immediato collegamento che nella teoria nonviolenta il concetto ha sia con il termine di aggressività (al cui posto nell’articolo della settimana scorsa abbiamo proposto proprio l’assertività), sia con la concezione monolitica del potere di Gene Sharp.

Per quanto riguarda, invece, l’altra accezione del termine assertività, essa viene collegata, come anticipato,  alla teoria delle posizioni esistenziali che rappresenta uno sviluppo della teoria transazionale di  Eric Leonard Bernstein (meglio conosciuto come Eric Berne).

La prevaricazione

Per esigenze di sintesi possiamo dire brevemente che le posizioni esistenziali, cioè il modo con cui ciascuno si rapporta agli altri sono quattro. Secondo la comune denominazione sono, quella dell’ assertivo, appunto, dell’aggressivo, del remissivo e, infine, del distruttivo. A questa dicitura, nel corso della nostra esperienza di formatori, per le ragioni più volte esposte circa la diversa accezione  del termine aggressività nella teoria nonviolenta, abbiamo ritenuto necessario apportare una leggera modifica. Sostituire il termine aggressivo con prevaricatore e  aggressività con prevaricazione.

Ricordiamo che l’assertivo si caratterizza per improntare i rapporti con gli altri usando un tipo di messaggi in cui, riprendendo la distinzione di Gregory Bateson, l’aspetto di comando (cioè l’informazione su come interpretare l’aspetto di notizia ossia il contenuto vero e proprio del messaggio) denota un giudizio positivo su di sè e sull’interlocutore. Il prevaricatore, invece, esprime un giudizio positivo di sè ma negativo sull’interlocutore. Il remissivo viceversa, esprime un giudizio negativo su di è ma positivo sull’altro. Infine il distruttivo veicola un giudizio negativo sia di se che degli altri.

L’assertivo nel gruppo.

Dato questo quadro di partenza, ci sembra interessante chiederci che ci fa un assertivo in un gruppo?

Andando oltre l’ironia di Marx, Groucho, non Carl, il quale sapidamente diceva che non sarebbe mai entrato in un gruppo disposto ad accettarlo come suo componente, effettivamente non è scontato ritenere che a seconda del gruppo cui si vuole aderire, la domanda non è peregrina.

Si può dire, infatti, che l’assertiv,o specie se il gruppo in cui intende entrare sia necessario o utile per perseguire scopi che altrimenti non sarebbe possibile ottenere, dovrebbe augurarsi di incontrare persone con caratteristiche analoghe alle proprie.

Il toxic leader

Poichè risulterebbe che la posizione esistenziale dell’assertività sia piuttosto rara e in ogni caso frutto di un lungo e tenace lavoro su se stessi, dobbiamo ritenere altamente probabile che l’assertivo si ritrovi nella fase dello storming a confrontarsi con persone appartenenti alle diverse posizioni esistenziali.

Ebbene, a seconda del grado di rigidità formale del gruppo potrebbe persino capitare che, qualora non sia egli stesso il leader, debba misurarsi con la posizione di comando occupata da un prevaricatore (persino con un toxic leader)

Con una precisazione necessaria. Nessuno può escludere, anzi l’esperienza indica volentieri il contrario, che a questo già non secondario problema si aggiunga il fatto che il prevaricatore, soprattutto in quanto leader formale, sia attorniato da una corte, magari assai numerosa, di gregari.

La posizione esistenziale dei quali non è difficile ipotizzare ed indentificare nel remissivo.

Tra prevaricatore e remissivo, difatti, è facile osservare come vi sia un sostanziale accordo su entrambi i fronti del giudizio su di sè e sugli altri. Il prevaricatore ritiene di essere positivo, giusto, abile etc.(il migliore, perchè no?) e tale giudizio è condiviso dal remissivo. D’altra parte la convergenza si registra anche sull’altro versante. Laddove il prevaricatore giudica negativamente il suo interlocutore, questi, essendo appunto un remissivo, si “dichiara” perfettamente d’accordo.

A ben riflettere le difficoltà dell’assertivo di incidere in senso positivo sulle dinamiche del gruppo trovano il maggiore ostacolo proprio in questa sorta di blocco monolitico che salda il prevaricatore alla claque dei remissivi.

Il gruppo come palestra

Questa proiezione in chiave gruppale della teoria in esame rende probabilmente ancora più chiaro il ruolo del gruppo come palestra dei cambiamenti di cui si vuole fare oggetto l’esterno.

Appare infatti estremamente improbabile nutrire fiducia in tale direzione se già all’interno del gruppo che dovrebbe farsi promotore di cambiamenti sociali, si rivelino trappole e stalli del tipo che stiamo brevemente descrivendo.

Non potendo andare oltre nel descrivere l’utilità dell’analisi che stiamo facendo, per cui basti solo pensare alla chiave interpretativa che può darci del legame tra il prevaricatore e i testimoni nei fenomeni di bullismo o ancora in quelli del mobbing aziendale, qui ci interessa un altro versante.

Ossia quello delle strategie di contaminazione che l’assertivo può giocare dentro un gruppo, appunto, di non assertivi.

La bonifica dai coltelli

Non è da escludere che rispondere in modo positivo, dunque con coerenza, anche quando si ricevano i messaggi negativi del prevaricatore (se poi è il capo è impossibile sottrarsi al confronto) possa nel medio e lungo periodo ottenere degli effetti. La metafora con cui indichiamo questa opera di sminamento la chiamiamo “la bonifica dai coltelli dopo le pugnalate”)

Non far perdere la faccia

Peraltro da questo punto di vista tutti i dettami della teoria nonviolenta circa come comportarsi con l’avversario hanno molti tratti comuni con le regole di cui deve farsi forte l’assertivo. Una regola nonviolenta, in particolare, recita che bisogna sempre dare una onorevole via d’uscita l’avversario. Ebbene, anche il prevaricatore, probabilmente non vedrebbe come disonorevole abbandonare il ruolo cui la claque lo inchioda (secondo una visione sistemica), solo se si trattasse di non perdere la faccia. Del resto non bisogna dimenticare che tutte le posizioni esistenziali, compresa l’assertività, presentano margini di problematicità. Con la differenza che mentre l’assertivo ne è consapevole e ha intrapreso il percorso per affrontarle, le altre  probabilmente difettano persino di consapevolezza.

La maieutica reciproca

Sarebbe sin troppo facile richiamare l’utilità della maieutica reciproca della tradizione nonviolenta italiana per segnalare che se è vero che il passaggio all’assertività richiede, a detta degli specialisti, profondi mutamenti interiori, è anche vero che altre teorie tendono a mettere meno l’accento su tale necessità. Almeno per situazioni che non si configurano come esclusivamente risolvibili con l’intervento clinico. Cioè nella maggioranza dei casi.

In questo solco, alla luce anche delle teorie  di un autore con Martin Seligman, proseguiremo nel prossimo brano con l’indicazione di altre strategie di sopra-vivenza al/nel gruppo.

Perchè non si trasformi da luogo della circolarità a circolo vizioso.

Pier Gavino Sechi.