Premessa.
Riprendiamo oggi il percorso da cui abbiamo deviato per qualche giorno, presentando il gioco dal titolo Cerchio magico (vedi alla fine). E’ tratto dal testo Reti di formazione alla nonviolenza ed è finalizzato non solo a riprodurre in qualche modo la realtà (secondo la regola del “come se” o della mimicry secondo la classificazione di Roger Caillois in I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Roma, 2000) per meglio osservarne le dinamiche in scala ridotta, ma pure a sperimentare novità e proposte. Ancora una volta la tematica è quella delle condizioni di funzionamento del gruppo. Quando si pensa ad un gruppo che funziona si evoca il fascino del cerchio.
Il cerchio e il gruppo: quale relazione?
Ma da dove proviene questa tendenza ad accostare la figura del gruppo a quella del cerchio?
Si tratta, difatti, di un paragone assai impegnativo se solo pensiamo che la sfera, proiezione del cerchio nello spazio, avendo tutti i punti equidistanti dal centro, viene considerato, sin dall’antichità, il simbolo della perfezione.
Invece se prendiamo in considerazione l’origine etimologica del termine gruppo, apprendiamo che proviene dal germanico kruppa. Si tratta di un termine lontano dal fascino del cerchio e che non dà per scontata l’armonia che caratterizza metodologie di gruppo, quali il circle time e, in generale, tutti gli esercizi descritti nei nostri manuali per trattare il tema della comunicazione e della diffusione della leadership.
In verità il gruppo di per sè, e per lo più, trova una più fedele configurazione nel gioco del Nodo (vedi ancora sotto). Si parte con un groviglio di braccia e si termina in modo ottimale quando e se i partecipanti riescono a formare un cerchio completo.
Solo in questo caso, dunque, gruppo e cerchio coincidono.
Le condizioni di efficacia del gruppo
Non dobbiamo, infatti, dimenticare che il gruppo, quale contesto fisico e psicologico, fatto di presenza fisica, grande assente di questo periodo di emergenza sanitaria, non è affatto per definizione il luogo idilliaco in cui regna la pace e la fratellanza. Anzi, la teoria già esaminata di Bruce Tuckman ci racconta tutt’altro. Soltanto nelle fasi più mature della sua vita sembra diventare un contesto realmente “abitabile”.
La grande indicazione offerta da questo autore comunque è che non bisogna scambiare i momenti conflittuali del gruppo con l’inizio di ineluttabili parabole di disfacimento. Anzi, la fase dello storming, benchè sia la più complessa e solo potenzialmente conclusiva, si pone agli inizi della sua parabola di vita. Il punto è che chi avesse la sfortuna di non conoscere tale teoria, potrebbe incorrere in tutte quelle sindromi negative, all’insegna della profezia che si autoavvera, che in definitiva mette davvero a repentaglio la vita del gruppo. Invece, classificare come fisiologico lo storming, non solo può aiutare a vivere meglio e senza dai sensi di colpa, ma persino lo indica come passaggio ricco di frutti. Peraltro trasmettendo tale effetto positivo sull’ importanza del conflitto.
Il contratto psicologico
Peraltro, ogni fenomeno, compreso questo, se si è ricevuta un’adeguata formazione, può essere indirizzato verso risultati positivi. Invece, anche per quanto riguarda il gruppo, la consapevolezza della sua complessità è spesso talmente approssimativa che non è raro ritenere coincidenti la fase dello storming con la fine del gruppo.
Il gioco Cerchio magico si riferirebbe, letto secondo la prospettiva delle fasi di vita del gruppo, alla fase del performing, realizzata attraverso la partecipazione sostenibile di tutti. Condizione che si ottiene quando si realizza ciò che con linguaggio organizzativo viene chiamato contratto psicologico, Necessario per stabilire l’ equilibrio tra quanto il gruppo richiede a ciascuno e quanto è in grado di restituire.
Come evitare le catastrofi: pugno di ferro o libertà?
I due temi, quelli del performing e del contratto psicologico ci permettono di introdurre una problematica che interessa la necessità di coniugare tensione verso l’obiettivo e libertà.
Problematica che non riguarda solo il livello gruppale ma interessa anche i macrosistemi. Basti pensare che per uscire dalla tendenza dell’irreversibilità del disastro ecologico, sono stati posti a livello ecologico degli ambiziosi obiettivi misurabili, che stanno interrogando i decisori politici e i tecnici su quale approccio sia più efficace: quello impositivo ovvero quello che non escluda ma anzi faccia leva sul principio di libertà.
Ebbene, molto sinteticamente si può dire che entrambi presentano dei punti di debolezza.
Il primo, quello basato sull’imposizione, peraltro molto presente anche in questo periodo di emergenza sanitaria onde contrastarne gli effetti, presenta il difetto relativo ai costi della repressione. Costi destinati a diventare più alti data la delicatezza dei beni giuridici sui quali incidono le limitazioni contro le quali si stanno innescando reazioni in nome della libertà e perciò dalla parvenza eroica.
Il secondo, cioè quello basato sulla libertà, presenta, invece, il difetto che non è detto che tutti liberamente giungano ad imporsi quei limiti necessari ad evitare l’espandersi della pandemia o, più sul lungo periodo, le catastrofi ambientali.
Perchè ciò avvenga, infatti, sono necessari risultati di un processo educativo che per definizione esige molto tempo per dare i suoi frutti. Con la conseguenza che essi mancano proprio ora che sono necessari.
Credo che il maggiore problema che ci troviamo di fronte stia proprio in ciò: poco tempo a disposizione perchè la cultura faccia liberamente aderire le persone ai sacrifici necessari e poca efficacia delle misure di controllo in quanto viste come impositive di limiti inaccettabili.
Eppure l’approccio basato sulla libertà garantirebbe i maggiori risultati, se è vero che ciò che decidiamo di fare liberamente ci porta anche a trovare le risorse per superare gli ostacoli che si incontrano strada facendo. Quando, invece, le scelte sono imposte, al di là dell’adesione solo formale ad esse, non solo ogni ostacolo diventa insormontabile. Ma le energie migliori vengono utilizzate per sfuggire alle costrizioni, piuttosto che a superare gli ostacoli. Può essere questa la ragione per cui determinati sistemi sociali, in cui la libertà si concilia con un alto senso dell’ordine, appaiono più adeguati a fronteggiare situazioni di emergenza? Essi sembrano in grado di ottenere nei momenti di crisi il massimo da ciascuno.
Cerchi magici e altre metafore
Ma come si fa ad ottenere il massimo impegno in una condizione di libertà ?
Un’indicazione in tal senso ce la da proprio il gioco Cerchio magico. Cioè assegnare al cerchio un compito. Quello di fare qualche passo. Certo, un cerchio è più adatto a rotolare che a camminare, data la sua forma poco aerodinamica. E che cos’è ciò, comunque, se non una prova di performing?
Molto indicata per accertarsi se tutti stanno dando il massimo per ottenere il risultato stabilito.
Ovviamente la prova andrebbe ripetuta sia per far acquisire una maggiore dimestichezza con ciò che bisogna fare, sia per stabilire il livello massimo di risultato che si può ottenere.
Impegno e sincronizzazione
Certo è che nella fase del performing intervengono diversi livelli in cui l’efficienza deve esprimersi.
Uno è quella del maggior impegno possibile che ciascuno dei partecipanti deve esprimere.
L’altro è quello della sincronizzazione. Nel senso che la migliore performance si otterrà non solo se ciascuno darà il meglio di se per tutta la durata del compito assegnato, ma, soprattutto, in contemporanea con gli altri. Ciò in quanto tanto più lungo sarà lo sforzo richiesto, tanto più decisivo diventa dare il massimo insieme nei momenti decisivi.
Spetta al leader, come un coach sportivo, fare da metronomo da questo punto di vista?
E quando chi guida non dispone del controllo della situazione, come nella maggior parte dei casi? In diverse proposte formative siamo ricorsi alla metafora del tandem (quello da Guiness dei primati conta ben quindici posti!). Alle spalle di chi guida quanti sono coloro che pedalano o fanno finta di pedalare? E chi pedale con quale impegno lo sta facendo?
Ovviamente esercitare la leadership non implica per forza avere un ferreo controllo. Dipende dallo stile di leadership fare in odo che tutto proceda al meglio anche senza necessità di controllo costante. Peraltro un buon leader si deve misurare con gli errori, i cali di concentrazione e le disarmonie interne al gruppo.
Ma come si concilia questa figura di leader con quella posta dalla prospettiva della diffusione della leadership, considerata uno dei principi cardine del pensiero nonviolento?
A questo interrogativo tenteremo di dare una risposta affrontando la tematica dell’assertività.
Pier Gavino Sechi.