Quali le qualità del gruppo?

Premessa.

Due quattro otto. Non vogliamo parlare tanto di numeri, quanto di qualità del gruppo, citando il titolo dell’ennesimo gioco che proponiamo oggi (leggi alla fine del brano).
Esso è incentrato fondamentalmente sul tema della presa delle decisioni. Terreno cruciale per la vita di un gruppo. Per l’evidente ragione che se entra in stallo tale delicatissima funzione, viene messa a repentaglio la sua stessa ragione d’ essere.
Ciò vale per qualsiasi tipo di gruppo, da quello creato per una gita fuori porta sino a quello superstrutturato come una multinazionale.
Non si può non decidere per troppo tempo, anche perché non decidere costituisce comunque una decisione di lasciare le cose come stanno. Cosa ammissibile in sé, ovviamente, ma non se tale posizione viene tenuta perché non si riesce a prendere una decisione.

La presa delle decisioni basate sul consenso unanime

L’ esercizio due quattro otto propone un percorso per prendere le decisioni in modo consensuale, ossia all’ unanimità. Obiettivo che a prima vista sembra rendere ancora più probabile il rischio della paralisi del gruppo. Ma se si inquadra il gioco nella cornice della finalità del gruppo nelle campagne nonviolente appare chiara la vera funzione.
Abbiamo già spiegato come il gruppo in quell’ ottica assume una funzione di mezzo e insieme di fine. E come tale costituisce una sorta di amplificazione della capacità di incidere propria di ciascuna persona. Abbiamo anche chiarito che ciò non significa che il singolo si annulla all’ interno del gruppo. Al contrario implica che ciascun componente è già di per sé completo ma conta sulle qualità del gruppo per incontrare altre persone simili con cui operare un effetto moltiplicativo. Effetto che si ottiene al massimo grado se tutti convergono sulla stessa decisione. Quando ciò accade percorrendo le tappe indicate dal gioco oggi in esame, si ottiene la massima garanzia che tutti si spenderanno al massimo per realizzare l’ obiettivo condiviso.
Non bisogna dimenticare, infatti, che la fase decisiva di una buona decisione è la sua attuazione.
Al contrario, quanto più  la decisione presa è frutto di compromessi, tanto più precaria sarà la sua realizzazione.

La continuità dei valori tra dimensione personale e gruppale

Peraltro esercitarsi al consenso unanime garantisce la qualità anche delle ulteriori decisioni che si dovessero rendere necessarie rispetto alla strategia inizialmente concordata.

E’ chiaro che una simile impostazione presuppone la condizione che i valori personali debbano trovare conferma anche all’interno del gruppo. Il che non è scontato. Però se riteniamo, in astratto, che il gruppo sia un semplice strumento di realizzazione di valori senza che a sua volta debba rispettarli, scontiamo un rinvio o una sospensione dei fini.

Non va dimenticato che storicamente si riteneva che la morale fosse un ambito di regole riferibile esclusivamente alla sfera privata. Per il resto, machiavellicamente, il fine giustificava la scelta di qualsiasi mezzo. Come poi si potesse davvero stabilire  di essere giunti alla meta originariamente prefissata ce lo dimostra il fallimento delle grandi rivoluzioni. Esse puntano prima al rovesciamento del potere con le armi per poi intraprendere l’attuazione dei principi rivoluzionari. Peccato però questa sorta di cambiamento è solo di tipo 1. Con la conseguenza che ogni rivoluzione, specie se armata, rischia di instaurare  qualcosa di molto simile a ciò che si è appena abbattuto.

La cultura nonviolenta presuppone, al contrario, che ci debba essere una continuità tra i valori personali e quelli praticati nel gruppo. Così si spiega come si tiene insieme, unanimità del consenso, volontà della maggioranza non vincolante per la minoranza (contrariamente alla tradizione kantiana) e fine del gruppo in caso di obiezioni radicali.

Le fasi di vita del gruppo

Un certo interesse può avere oggi confrontare questa idea  del gruppo, propria della cultura nonviolenta, per cui esso sarebbe il luogo di incontro ideale tra assertivi, intesa l’assertività come posizione esistenziale, e la teoria di Bruce Wayne Tuckman denominata “Le fasi di sviluppo del gruppo”.

Nel riproporci di approfondire in un prossimo brano la fase detta del performing, va anzitutto detto che tale teoria ha significato per chi ha sempre lavorato sul tema del gruppo un interessante chiave di lettura. Costituendo un incontro fecondo dato che prima, durante il periodo di svolgimento dell’esperienza del training alla nonviolenza, ci basavamo sostanzialmente sulla definizione di gruppo secondo le teorie di Michel Olmstead (che differenziava tra gruppi primari e gruppi secondari)  e di Kurt Lewin (secondo cui il gruppo è qualcosa di più, o per meglio dire, qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri). Per un approfondimento delle diverse definizioni possibili di gruppo e delle sue qualità vai piccoli gruppi.

L’incontro con la teoria di Bruce Wayne Tuckman è stata fondamentale, dunque, sotto diversi punti di vista. Anzitutto dal punto di vista dell’ asserita capacità di “durata” del gruppo, in precedenza sempre ritenuta genericamente articolata nella sua nascita e nella sua morte. In secondo luogo in quanto propone la fase dello storming, quella a più alto tasso di conflittualità, senza determinarne per forza la fine. Ma al contrario ne indica il prosieguo con la fase del norming. Fase da sempre da noi ritenuta coincidente con quella della nascita, ossia del forming. Da ultimo, ma solo per motivi di brevità, l’autore pone come “naturale” la morte del gruppo. Anzi, persino oggetto di precisa deliberazione da parte dei suoi componenti. Circostanza che noi avevamo sempre ricondotto a decisioni inevitabili a seguito di una eccessiva conflittualità interna o di  una progressiva perdita di interesse dei suoi componenti. Inconsapevolmente, però, senza ancora conoscere la teoria in questione, fu proprio questo ciò che facemmo quando decretammo la fine di un gruppo (per la precisione il gruppo antimilitarista) per entrare stabilmente a far parte di un altro contesto “intergruppi” (il comitato per la pace) sorto nel 1981 a Cagliari, come in molte città italiane.

Lo storming e il gruppo virtuale.

Alla luce della teoria di Bruce Wayne Tuckman, perciò, come possiamo guardare al fenomeno del gruppo che nasce e si esprime nel web?  Che qualità ha tale tipo di gruppo? Ciò anche se è pur vero che una esperienza come quella di Facebook sorse per permettere, come noto, di rintracciare dopo molto tempo i propri compagni di scuola. Sennonchè , come spesso, accade, è servita non solo per quella finalità ma anche, e potremmo dire soprattutto, per dare vita  a nuovi gruppi. Con quali caratteristiche alla luce della teoria delle fasi di vita?

Sicuramente la fase del norming precede tutte le altre. E si tratta di un norming caratterizzato dalla cogenza di regole sia di iscrizione che di netiquette imposte dal gestore. La fase dello storming quindi appare predominante senza che però abbia per forza lo scopo di costruire delle decisioni comuni. Anzi il processo decisionale sembra messo fuori gioco proprio dal fatto che il parere di chi interviene viene accolto da chi lo condivide senza necessità del processo decisionale. Per cui tra coloro che c’è già in partenza accordo questo viene confermato. Mentre non sempre con chi non v’è accordo in partenza vi è il tempo o la volontà di costruirlo. Anzi l’esperienza sembra dimostrare il contrario a partire dal fenomeno dei “leoni da tastiera”. Pare prevalere, infatti, la logica prendere o lasciare che sembra preferire alla qualità del gruppo l’elemento della quantità dei partecipanti.

Per quanto riguarda la fase di adjourning, infine, è difficile immaginare una fase consensuale in cui si prende la decisione di sciogliere il gruppo. E’ più facile, infatti, che prevalga il processo del progressivo abbandono degli originari partecipanti. Senza per nulla escludere che avvenga l’aggiunta di nuovi partecipanti. Per una indefinita dilatazione del tempo di durata del gruppo.

In generale vanno però forse poste le domande: a chi interessa oggi l’ascolto e il confronto delle idee dato il prevalere della metafora del market delle idee da asporto? E le idee si concepiscono o si scelgono preconfezionate?

Pier Gavino Sechi.