In un recente seminario dedicato al conflitto, abbiamo proseguito nel tentativo di ripassare alcuni concetti che dovremmo tenere sempre presenti ogniqualvolta ci sembra di essere alle porte di una nuova fase.
Posto che da molto tempo ci sentiamo ripetere che siamo in una fase di transizione epocale, per non assuefarci si è presentata l’occasione dello stop di massa imposto dall’emergenza sanitaria.
Potremmo discutere per settimane sulla catena di cause che hanno portato alla comparsa e alla diffusione del virus, sta di fatto che proprio i differenti atteggiamenti di questa ricerca sembrano interessanti per ragionarci sopra.
C’è chi si accontenta di individuare una causa prossima, chi con maggiore pazienza cerca di individuare le cause delle cause…andando a ritroso lungo una catena sulla cui lunghezza si possono ulteriormente avere opinioni diverse. E c’è chi, infine, ragiona in termini multifattoriali: sarebbero molteplici le cause intervenute a determinare questa immane sciagura, peraltro mettendo talora in luce l’ ulteriore aspetto che in un’ottica multifattoriale le cause si possono rinforzare a vicenda: ecco il concetto di sinergia.
Questo esercizio, che potremmo riassumere con la formula di processo di attribuzione (degli effetti a delle cause) ovviamente pone in risalto il rapporto problematico tra verità ed opinioni. Senza poi contare che una cosa sono i fatti e altro sono le opinioni che di essi ci facciamo, sino a potersi dire che sia estremamente difficile operare una distinzione netta tra gli uni e gli altri.
Se le cose stanno così, non meraviglia quanto sia problematico programmare il futuro.
Qui l’operazione è in parte analoga alla precedente in quanto si differenzia solo per il fatto che nel decidere di compiere un’azione poniamo noi la causa di una serie di conseguenze: alcune sono immediatamente prevedibili, ma le altre (e quante e quali?) non lo sono per nulla.
Delle prime possiamo dire di esserne responsabili, ma sull’insieme delle altre, mano mano che, secondo il senso comune, diventano sempre meno conseguenza normale della nostra azione, la nostra responsabilità è destinata ad attenuarsi.
Tutt’al più ci si può chiedere di prestare la massima attenzione mentre agiamo, affinché siamo in grado di evitare gli eventuali errori di altri. Un esempio interessante è offerto in tal senso dalle regole della circolazione stradale, dalle quali sorge anche l’obbligo che ci impone di guidare con prudenza, senza che basti, ad esempio, osservare il limite di velocità di 50 chilometri orari nei centri abitati, infischiandocene della presenza di passanti, di altri autoveicoli, etc. Non basta cioè un atteggiamento formale ma ci viene richiesta una continua vigilanza sui pericoli insiti nell’attività che stiamo svolgendo. Insomma ci viene richiesta precauzione.
Uno stratagemma che l’uomo ha escogitato per ridurre l’incertezza è riassumibile nel concetto di macchina, ossia di un congegno automatico che dati certi impulsi, dia sempre, il più possibile, le stesse conseguenze.
Bene, uno dei concetti che sarebbe necessario avere sempre ben presenti, è quello secondo cui a lungo andare l’estendersi di una soluzione al maggior numero possibile di situazioni e di campi di applicazione, potrebbe aumentarne gli effetti collaterali. Non solo, ma questi avrebbero la caratteristica di crescere non in modo aritmetico ma geometrico, come ci ha indicato Malthus a proposito della crescita della popolazione rispetto alla crescita, appunto solo aritmetica, delle risorse necessarie a sfamarla.
Una applicazione concreta di quanto stiamo sostenendo si può osservare quando dall’uso della macchina passiamo all’uso dell’intelligenza artificiale. Già in campo militare, uno di quelli cioè considerati ancora trainanti, ci piaccia o no, in quanto a cascata porterebbe benefici anche in campo “civile” (siamo ancora a questo punto…) si è da poco aperta la polemica circa l’opportunità di affidare a sistemi automatici di difesa il compito di contrastare in tempo un attacco nemico. I critici sostengono che vada lasciata all’uomo almeno la decisione finale dell’attacco, posto che le macchine potrebbero non saper ben distinguere tra l’attacco di un commando armato terrestre e la battuta di caccia di un’allegra brigata domenicale di amici.
Tuttavia, per sdrammatizzare la problematica, allenandoci comunque alla problematicità, proponiamo qui sotto il gioco Macchine, tratto da uno dei più volte citati nostri manuali di giochi e di esercizi.
Dopo la lettura provate ad apportare una leggera variante, come usavamo fare durante i training in presenza, quando ancora consentiti, ossia immaginate che la macchina sia sempre in funzione e possiate agire solo con i bottoni di direzione e di freno.
Otterrete il risultato che se vi danno da governare una sola macchina ciò vi apparirà comodissimo. Ma se il trainer vi assegna un numero sempre maggiore di macchine da guidare voi non farete in tempo ad agire sui freni di ciascuna, col risultato che esse causeranno un bel numero di disastri, tanto che, per dire, nessuna compagnia di assicurazione sarebbe disposta a venirvi in aiuto.
Non ci ricorda tale situazione, in scala ridotta, ciò che la specie umana sta compiendo su scala planetaria salvo poi impegnarsi alacremente nello sterile dibattito delle possibili catene causali responsabili dei problemi che abbiamo sott’occhio? Tutte catene, comunque, che sembra non portino mai alla madre di tutti i problemi: l’uomo, la vera macchina con più di una macchia…
Un ultimo consiglio: vale la pena dare un’occhiata al testo di Hans Jonas, Principio responsabilità, Milano 2009, per riflettere che cosa significa oggi applicare le moderne tecnologie ad un nuovo delicato terreno, ossia lo stesso corpo umano, secondo le idee già mature proposte da un certo signore che risponde al nome di Elon Musk.
Pier Gavino Sechi.