Premessa.
Il brano di oggi si muove su tre piani: quello degli esercizi del nostro patrimonio ludico che ogni settimana riportiamo alla memoria; quello della tematica che ci aiutano a focalizzare, a dimostrazione della loro efficacia; quello dei contributi di autori e saggi per meglio leggere il presente. Da qualche settimana la tematica sulla quale stiamo insistendo è quella dell’innovazione. Oggi, a questo proposito, vorremmo prendere una situazione concreta, un fenomeno di attualità, una problematica di interesse generale per analizzarla all’interno di queste tre dimensioni: metodologica (ispirandoci ai giochi del nostro patrimonio), teorica (valorizzando gli insegnamenti dei nostri punti di riferimento culturali) e pratica (l’applicazione degli spunti teorici alla situazione concreta). Questi tre assi di osservazione, naturalmente, sono solo orientativi. Non c’è nulla che possa indicarci con precisione, ad esempio, il confine tra la teoria e la prassi o tra una metodologia e una determinata pratica. E ciò nonostante, spesso, nascano discussioni tra coloro che si definiscono come persone “solo”pratiche o come “solo” teoriche. A dispetto delle acrobazie di tali dispute, non solo Ci sono autori che sostengono che la contrapposizione tra teoria e pratica sia un’antinomia solo apparente, ma, persino, che si tratti di dimensioni legate in modo circolare. Se non, addirittura, che la metodologia sia la spiegazione del metodo che include sia la teoria che la prassi. Gregory Bateson direbbe che i tre concetti appartengono a livelli logici differenti. La metodologia si porrebbe, più precisamente, a livello ”meta” rispetto agli altri due. Proviamo, dunque, a vedere come potrebbe comportarsi lo scolaretto che è in ciascun terrestre, quale noi siamo, nell’analizzare uno dei più scottanti esempi attuali di innovazione (o di Innovanza?). L’impatto dei dispositivi elettronici su quella che viene definita la Generazione Covid, per l’apprendimento dei contenuti didattici nell’attuale periodo di emergenza sanitaria.
Dal divieto all’obbligo: il doppio vincolo.
Prima dell’emergenza sanitaria, il dispositivo elettronico rappresentava per l’ attuale generazione Covid lo sfogo post tramonto dei giochi di strada e delle ginocchia sbucciate, e persino il piacere dopo il dovere (quante volte l’abbiamo sentito: prima il dovere poi il piacere!).
Sarebbe delittuoso non fare almeno un tentativo di rievocare, proprio in quanto stiamo attingendo a piene mani agli insegnamenti di Gregory Bateson, il principale contributo di cui viene considerato il padre. La teoria del doppio vincolo.
Ogni terrestre che aspiri quantomeno a non nuocere agli altri, e in primo luogo ai propri figli, dovrebbe conoscerla, per evitarla.
L’esempio concreto per spiegarla in parole semplici è, infatti, il seguente. Mette in doppio vincolo il proprio figlio, il genitore che, dopo averlo incoraggiato a non aver paura del buio, a seguito di una mancanza, per punizione, lo rinchiuda in una stanza al buio.
Chiaro il problema che si genera? Il bambino non saprà a che cosa credere. Se poi ciascuno dei due messaggi in conflitto proviene dai due genitori, l’effetto è ancora più dirompente.
L’espropriazione del gioco della generazione Covid.
Nel caso dei devices, assistiamo, però, ad un fenomeno ancora più serio. Ammesso che gli strumenti elettronici facciano “apprendere giocando”, questi passano dal territorio del gioco a quelli dell’impegno finalizzato a risultati oggetto della verifica degli insegnanti. Come lo possiamo chiamare ciò? Non si tratta di una sorta di espropriazione semantica del gioco a danno della generazione Covid ai fini della performance?
Quando la soluzione è il problema.
Basta analizzare la pubblicità dei cosiddetti contenuti interattivi per accorgerci, inoltre, di un aspetto singolare. Vengono proposti come risposta alla scarsa capacità attentiva dei ragazzi (che addirittura si arriva a quantificare in appena trenta secondi). Glissando, naturalmente, sul fatto che tale nefasto fenomeno è il risultato anche (o soprattutto?) della sovraesposizione dei bambini e ragazzi agli strumenti pubblicizzati. In questo modo si tocca con mano quanto sinora abbiamo visto. La tecnica, nella propria autoreferenzialità, arriva, con una certa sfacciataggine, a voler proporre soluzioni ai problemi da essa stessa causati, in un sorta di pernicioso circolo vizioso.
Accanimento terapeutico sulla generazione Covid.
In (solo) formale ossequio al principio di precauzione, tutti gli esperimenti sin qui condotti per valutare l’impatto sulla mente degli utilizzatori degli strumenti elettronici, hanno proceduto, da protocollo, a doppio canale cieco. Prevedendo l’esposizione di un gruppo di bambini rispetto ad un altro gruppo, quello di controllo, soggetto al trattamento di non esposizione. Ebbene, qui si coglie una delle più raffinate vendette autolesionistiche che l’uomo abbia mai potuto subire. Non essendo possibile fare esperimenti di questo genere su altri animali, è propriamente l’uomo stesso a fare da cavia.
Ovviamente la nostra non è equidistanza se parliamo di questo paradosso come risultato degli studi condotti e citati dai difensori della salute dei nostri figli. Ma non possiamo non segnalare che persino chi vuole bene ai bambini finisce per fare affidamento su risultati ottenuti a loro danno.
Per la tecnica anche i danni devono essere scientificamente inoppugnabili. Ecco a che cosa conduce il principio di precauzione visto non come una soglia da non valicare ma come un meccanismo che ti informa a cose fatte per ridurre il danno. Dimostrando che si sottovaluta il significato del prefisso pre. Il quale indica, appunto, che bisogna essere cauti prima di fare qualcosa, non post, cioè dopo, a cose fatte.
La metafora del gorgo e del buco nero.
A cose fatte, non a caso, si entra in quel percorso labirintico che abbiamo descritto per riassumere il magistrale insegnamento batesoniano dell’innovazione come capace risucchiare in un gorgo tutto ciò che ha attorno a se. Sbaragliando ogni ostacolo alla sua implementazione. Come l’enorme buco nero che sarebbe stato individuato al centro della Via Lattea. Così forte da non lasciar riflettere neppure la luce. Con la conseguenza che la sua presenza può essere dedotta solo col ricorso al tipico ragionamento a contrario. Deve esserci! altrimenti tutta una serie di fenomeni non avrebbe spiegazione.
Ricordiamo che in un brano precedente La corsa della solitudine (parte seconda) abbiamo messo in relazione l’innovazione con l’assuefazione proprio per descrivere Il processo che porta all’ affermarsi della prima. Ora possiamo osservare come l’emergenza sanitaria non stia solo arrivando ad imporre l’innovazione a tappe forzate. Ma giunga persino a ridefinire i confini tra il proibito e il consentito: prima i tempi d’ uso del videogiochi erano oggetto di conflittuali limitazioni, oggi lo studio della generazione Covid è destinato a svolgersi su quel tipo di dispositivi. In altri Paesi, peraltro , ciò è fatto acquisito da diverso tempo.
Finita l’emergenza, come si potrà tornare alle limitazioni di prima? Si potranno di nuovo accusare gli alunni di assuefazione?
L’insofferenza agli ostacoli: prove tecniche di pensiero unico.
Un ostacolo che l’innovazione sta divorando come un vero buco nero è quello della critica al suo stesso avanzamento. E ciò si esprime nell’atteggiamento sarcastico dei venditori dei devices nei confronti di chi denuncia sulla generazione Covid i danni cui cercano di porre riparo. Dubbi quantomeno legittimi proprio in quanto si tratta di danni che difficilmente sono risolvibili proprio dallo stesso fenomeno che li ha generati. Attenzione non si tratta di ironia ma proprio di sarcasmo. Ossia ironia usata per disprezzare l’opposizione. Con l’ironia io faccio vedere al mio interlocutore un aspetto diverso della realtà. Col sarcasmo umilio la sua visione della realtà. Non si può descrivere diversamente il tipo di reazione che ha accompagnato, ad esempio, la lettera pubblica che qualche giorno fa Alberto Pellai e Barbara Tamborini hanno indirizzato su questo tema al mondo della scuola. Hanno ricevuto a stretto giro di posta uno stizzito invito a non perdersi in elucubrazioni, ad essere pratici e a tagliare corto perché il mondo e la storia vanno così. E ciò nonostante vi sia una autorevole letteratura (citiamo solo il contributo di www.la-croix.com) che ha messo in luce i danni sulla generazione Covid dell’uso dei pc e sino a qualche mese fa, prima dell’emergenza sanitaria, fosse vietato l’uso in classe dei telefoni cellulari.
La metafora della formica e la polvere da sparo.
Ricorderete che in passato abbiamo trattato del tema del complottismo. Orbene è frequente imbattersi in persone che dai risultati nocivi sulle nuove generazioni traggono ulteriore e forse decisiva conferma della presenza di un disegno ordito da pochi, rendendo l’ipotesi ancora più demoniaca, per sottomettere l’umanità. A partire dal privarla, con la diffusione di armi di distruzione di massa neuronale della capacità di pensare e di autodeterminarsi.
Ma secondo l’immagine del gorgo, tutto ciò non è poi tanto necessario. Infatti, quando fenomeni di per sé negativi, giungono a convergere in un determinato momento storico, si intrecciano e si rinforzano a vicenda. Come fa l’innesco nel provocare un’esplosione, in presenza di determinate condizioni.
E allora basta un’immagine per rendere l’idea. Quello di un formicaio. All’interno del quale ognuna del migliaio di formiche che lo popola trasporti instancabilmente il proprio granello di polvere da sparo. Nessun granello è decisivo sino a che, secondo la metafora del gorgo, arriverà il momento topico in cui si saranno realizzate le condizioni perché il disastro si compia. Da quel momento il sistema rimarrà in balia della sorte, in attesa dell’innesco. Per cui iniziare le operazioni di sminamento sarebbe pericoloso quanto lasciare le cose come stanno e sperare che le formiche conoscano gli scongiuri o le preghiere.
Il gioco degli schieramenti.
E veniamo alla terza coordinata, ma non certo ultima per importanza, quella metodologica, con cui inquadrare la tematica di oggi. Presentiamo, come disperato antidoto e tentativo di resistenza alla furia divoratrice del buco nero , l’esercizio dal titolo Schieramenti (vedi sotto).
Lo proponiamo come una pratica per ottenere diversi interessanti risultati.
Anzitutto, come il brainstorming, educa alla concentrazione, alla riflessione e raccolta delle proprie idee sul tema proposto dal trainer.
In secondo luogo, educa a prendere posizione favorevole o contraria rispetto alla frase pronunciata dal conduttore del gioco. Inoltre abitua ad esporre le proprie ragioni e ad ascoltare le argomentazioni esposte dagli altri. Infine educa a ”farsi condizionare” dall’idea altrui. Lo mettiamo tra virgolette questo esito per segnalare una contraddizione solo apparente. L’esercizio educa ad aprirsi alle idee dell’altro a partire dalle proprie e a decidere di poter cambiare opinione. Non certo a riempire la testa priva di idee di partenza.
Certo, un esercizio come questo potrebbe essere accusato di voler insegnare alla generazione Covid a nuotare con la pretesa di contrastare il gorgo generato dall’affondamento del Titanic. Ma al contrario, non ha la pretesa di spacciarsi come panacea di tutti i mali. E’ inserito in un percorso e fa acquisire uno stile precauzionale. Non risponde alla richiesta di miracolo di chi si converte solo davanti alla morte.
Del resto, se ciascuna formica si rendesse conto che ciò che trasporta è polvere da sparo e non cibo, non avremmo il rischio della catastrofe che arriva improvvisa senza perdere tempo in discussioni su chi l’avrebbe ordita.
Pier Gavino Sechi.