Virus: il sentiero stretto tra obbligo e dovere vaccinale.

Premessa

Il gioco dal titolo Virus, che presentiamo in questo brano (vedi sotto), speriamo utile per stimolare la riflessione come gli altri che stiamo proponendo, ci permette di affrontare la tematica oggi assai delicata dell’obbligo vaccinale.

Si tratta di una questione che non presenta soltanto aspetti giuridici.  Infatti ci chiede come si può conciliare il rispetto dei principi fondamentali, in particolare quello di libertà, con il bisogno impellente di contrastare il diffondersi del virus, in questa fase di minaccia di una quarta ondata. Ma invita anche a riflettere sulle strategie più idonee per governare i sistemi complessi, quali sono, indubitabilmente, quelli sociali odierni.

Libertà centrifuga e libertà centripeta.

Già in passato abbiamo ricordato che un autore per noi assai importante, come Vittorio Hösle, sostiene che i cambiamenti profondi, necessari a contrastare compatti la crisi ecologica, debbano basarsi sulla conciliazione tra libertà e tensione verso obiettivi comuni.  Libertà verso mete condivise: sembra un ossimoro. Eppure sono i margini stretti dell’unico sentiero attualmente praticabile per invertire la rotta verso il disastro ecologico. Non solo, dunque, per contrastare i virus.

Sinora le dittature, a modo loro, calpestando le libertà, hanno cercato di  far “marciare compatti” interi popoli verso obiettivi comuni. I risultati però sono sotto gli occhi di tutti. Una partita giocata all’insegna della concezione monolitica del potere ha generato contromosse tali da rendere il dittatore di turno più preoccupato di puntellare il suo potere che di attuare il proprio programma politico. E ciò anche quando teso all’ obiettivo dal sapore escatologico dell’uomo nuovo.

Abbiamo anche visto che solo scelte libere e consapevoli (anche se non sempre i due aggettivi  vanno di pari passo) permettono  di essere proattivi nel fronteggiare con determinazione tutte le difficoltà verso la meta. In una condizione di crisi ecologica ciò, invece, risulta fondamentale. Si pone però il problema, e anche di ciò abbiamo parlato, che la libertà richiede, per essere la base per scelte autonome e mature, un sistema educativo rispettoso dei tempi di maturazione delle persone. Sennonché il tempo sembra essere proprio la risorsa scarsa per eccellenza di cui invece avremmo bisogno senza limiti. Ecco il problema.

Per combattere il virus, dunque, nella misura in cui non basta il vaccino (una, due o quante altre dosi saranno necessarie man mano che va avanti il gioco delle varianti?), ma servono misure quotidiane di cautela, le scelte devono essere improntate alla libertà e insieme alla consapevolezza. In definitiva, ad una concezione centrifuga di libertà dobbiamo sostituirne una centripeta. Ad una forma di libertà verso il salvi chi può, una verso il salvarsi insieme.

La placida lentezza dell’educazione

E allora? Si potrebbe dire,  qual è il problema? Perché non promuovere una massiccia campagna informativa così che tutti  accettino di vaccinarsi?

L’abbiamo già detto: il fattore tempo è imposto dal vaccino. Il risultato di persuadere il maggior numero di concittadini a vaccinarsi rischia così di arrivare fuori tempo massimo rispetto alla propagazione del virus. Come non mai oggi questo richiede infatti di essere fronteggiato non solo su larga scala ma il più possibile da un numero massimo di persone. Il virus ha contingentato i tempi del dibattito e della riflessione, dopo essersi impadronito della nostra agenda e del potere di scelta delle priorità.

Peraltro, l’adesione alla campagna di fronteggiamento (quindi non solo vaccinale ma pure estesa all’uso di tutte le altre precauzioni) dovrebbe travalicare i confini dei Paesi e dei continenti. Pena, altrimenti, finire come gli antichi imperi che più si fortificavano e meno riuscivano a fronteggiare le scorrerie dei commandos nemici.

Ma allora, di nuovo, se così stanno le cose, perché non ricorrere all’obbligo vaccinale?

Perché non imporre per legge l’obbligo di sottoporsi a vaccino?

Dovere, non obbligo.

Quanti fossero interessati agli aspetti giuridici della questione,  in questo brano trovano solo un’ analisi alquanto sintetica. Basata però sulle posizioni di autori equilibrati che tengono in considerazione le diverse opzioni in campo.

Iniziamo così col dire che, come sappiamo, la libertà personale, che comprende anche quella di non essere sottoposti a cura senza il proprio consenso, ha la stessa importanza della salute pubblica. Ma questa può diventare prevalente, rispetto alla libertà, se vi sono situazioni di emergenza sanitaria come quella in atto.

Sennonché il problema diventa il mezzo. Con che cosa dovrebbe essere combattuta questa emergenza e, quindi, a che cosa dovrebbe sottoporsi il singolo? La risposta sembra ovvia: ai vaccini oggi autorizzati.

E qui arriviamo ad un punto decisivo.

I vaccini in circolazione hanno ricevuto una autorizzazione al loro utilizzo di tipo condizionato, rispetto ai vaccini in circolazione da tempo e ampiamente sperimentati. Sotto la pressione del Covid-19 non sarebbe stato possibile attendere i dieci-quindici anni necessari per l’espletamento della procedura ordinaria di autorizzazione. Tutto ciò malgrado l’Unione europea sotto questo profilo abbia messo sullo stesso piano tutti i vaccini, sia quelli di lunga data che quelli contro l’attuale pandemia. L’unica differenza, allo stato, consiste, in caso di danni, nella possibilità o meno di accedere agli indennizzi: riconosciuta per i primi ma non per i secondi.

Cosicché, in generale, chi accetta l’inoculazione di quelli contro il Covid-19 lo fa a proprio rischio e pericolo, dopo aver prestato il consenso informato. Che libera i sanitari da qualsiasi responsabilità.

Nella catena produttiva analogo risultato di esenzione da responsabilità è ottenuto per via del cosiddetto scudo penale (formula criticata da alcuni perché accosterebbe le presenti ipotesi a quelle di reati molto gravi). Cioè per legge viene stabilito che il soggetto che provoca determinati danni, ma secondo procedure stabilite, non viene chiamato a risponderne. Si tratta di un aspetto, stavolta necessario, della cosiddetta medicina difensiva.

Molto più problematica sarebbe, invece, la posizione dei ministri che votassero il decreto legge introduttivo dell’obbligo vaccinale.

Per loro, infatti, non c’è scudo penale che tenga. Tanto è vero che già molte cause sono in fase di istruttoria per il risarcimento dei danni contro esponenti del governo che gestirono le prime fasi dell’emergenza sanitaria.

Le vie alternative all’obbligo.

Esclusa la possibilità, dunque, di un obbligo imposto per legge, rimangono due vie.

Una ancora di carattere giuridico, ma spurio. L’altra di nuova entità, posto che si propone come incrocio tra discipline diverse. In particolare tra l’economia e la psicologia. Si tratta del dovere e degli ostacoli all’esercizio dei diritti.

Il dovere al posto dell’obbligo

Se non il ricorso all’obbligo, i giuristi più attenti invocano il ricorso al dovere. Si tratta di un termine che più di tutti mette in stretto collegamento il diritto con la morale. Tanto è vero che il concetto trova la sua sede privilegiata nella Costituzione. Che non contiene norme obbligatorie, ma norme che racchiudono principi cui devono conformarsi i poteri dello Stato. Nei confronti dei cittadini si parla, invece, di diritti e di doveri. Mentre per passare da questo livello agli obblighi, ci vuole la legge, comunque espressione della volontà popolare.

I doveri più generali sono quelli previsti nell’art. 2 delle Costituzione:  i doveri di solidarietà politica, economica e sociale (formula che ha alimentato il linguaggio di svariate generazioni di politici e non solo, sino a ridursi a una vuota formula di stile).

Solidali, non soli

Sicché ciò che non è obbligatorio, potrebbe essere qualificato come doveroso. Ma qual’ è la differenza tra dovere ed obbligo?

In modo molto sintetico, possiamo dire che mentre l’obbligo ha per contenuto un comportamento da tenere nei confronti di una persona determinata con cui sussiste già un rapporto, magari in quanto con essa abbiamo fatto un accordo, il dovere ha un contenuto più ampio sia rispetto al che cosa prevede che verso chi pretenderne l’adempimento.

Un esempio può essere utile per capire meglio la distinzione.

Se affido un oggetto alla custodia di una persona (e soprattutto se per tale impegno la retribuisco) questa ha l’obbligo di custodirmela nei confronti di chiunque possa cercare di impadronirsene. Cosicché, mentre il custode ha nei miei confronti un obbligo, tutti gli altri soggetti hanno un dovere dal contenuto negativo: astenersi da insidiare il bene.

E’ evidente che un impegno così generale (rispetto ai soggetti) e dal contenuto che impone di non fare, sembra poco in linea con quella esigenza di concretezza tipica del diritto e appartenere semmai al campo della morale. Il che però non è strano se pensiamo che i due ambiti, il diritto e la morale, non formano compartimenti stagni, ma presentano molti punti di contatto che non possiamo qui approfondire se non per due aspetti.

Il primo è che se non ci fosse un sufficiente grado di coerenza tra le regole imposte dal diritto e quelle imposte dalla morale, il primo sarebbe costretto, per far valere le proprie, al solo uso della forza. Col risultato che ciò porterebbe ad un pericoloso circolo vizioso. Più forza viene usata e più cresce il rischio che si alimentino forme di resistenza fondate sull’adesione ai principi morali traditi. Con conseguente necessità di ricorso ad ulteriore forza, in una spirale dagli esiti imprevedibili. Ne abbiamo già parlato: quando all’educazione si sostituisce la forza, questa diventa violenza destinata ad autoalimentarsi.

Il secondo aspetto è il definitivo tramonto (anche) in campo giuridico, della concezione, di stampo liberale, secondo cui, per usare un’espressione molto in voga, la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri.

Si tratta però di una idea di libertà appiattita su una concezione difensiva che poco rispecchia le attuali condizioni di complessità delle organizzazioni sociali che esigono, viceversa, un avvicinamento tra interesse privato e interesse generale. L’attuale livello di complessità delle organizzazioni sociali, infatti, ha prodotto un tale livello di integrazione tra le diverse sfere di azione che, se per ottenere dei risultati individuali sia pressoché impossibile non contare sull’apporto degli altri, allo stesso modo, i danni provocati dal singolo sono destinati a ripercuotersi su una dimensione spazio temporale inimmaginabile sino a poco tempo fa (ricordiamo il principio di responsabilità evocato da Hans Jonas). Ciò di cui abbiamo parlato in diversi brani in termini di complessità, trova non a caso un’eco anche in campo giuridico-economico con la formula di shock della modernità.

Stando così le cose, arriviamo a capire che la solidarietà di cui parla la Costituzione non corrisponde allo stesso concetto usato in campo morale. Esso, infatti, si riferisce a quel grado di tolleranza che dobbiamo avere rispetto a tutti gli inconvenienti causati dal vivere in società complesse. Disagi che, in fin dei conti, sarebbero ben compensati dai corrispondenti vantaggi (che normalmente tendiamo a sottovalutare). Anzi, tali considerazioni dovrebbero portare ciascuno a cercare di prevedere in anticipo le conseguenze negative della propria iniziativa in modo tale da usare le necessarie precauzioni. Spesso valutazioni di questo tipo sono fatte a monte dalla legge imponendo determinati comportamenti. E quindi non le vediamo.

L’esempio della circolazione stradale può essere utile per capire il concetto. Poche regole fondamentali, espresse in linguaggio iconico, permettono la “convivenza” in spazi diventati angusti, come le attuali strade urbane ed extraurbane, di un numero elevatissimo di mezzi di circolazione. Condotti da soggetti che pur aderenti a culture e ideologie assai diverse, si vincolano alle regole sulla circolazione per un mix di esigenze egoaltruistiche che portano al soddisfacente (l’ottimo sarebbe impossibile) risultato della massima riduzione possibile di incidenti. Quando poi diverrà prevalente la guida autonoma, si avrà persino una caduta di sinistri causati da errori umani.

Venendo al piano sanitario, ciò comporta che io ho (quantomeno) il dovere di non danneggiare gli altri. Pertanto, se concepisco la mia libertà nel senso di non adottare alcuna cautela per scongiurare tale rischio, ecco che ledo l’altrui libertà (che assume le sembianze dell’integrità fisica) a non essere danneggiato da me. Per cui, ancor di più, se concepissi come oggetto della mia libertà non sottopormi al vaccino (magari per le ragioni esposte sopra) dovrei prestare molta più attenzione nell’ uso di tutte le misure per evitare di danneggiare gli altri. La scelta no vax (specie se non accompagnata dall’idea che il virus sia pura invenzione) dovrebbe portare perciò al mask plus. Meno obblighi più doveri, insomma.

Tale carattere riflessivo e reciproco delle posizioni personali dovrebbe suonarci familiare.  Riecheggia, infatti, tutto l’insegnamento che abbiamo sin qui cercato di riassumere illustrando i giochi del nostro patrimonio ludico. Finendo per rendere più chiaro come davanti al banco di prova collettivo della pandemia determinate consapevolezze che pensavamo utili solo  per determinati e circoscritti aspetti della nostra vita, valgono anche in questo frangente.

Se poi, ironizzando col complottismo, il virus è frutto di scelte consapevoli e persino criminali, ricordiamo che nei nostri training, per capire come ci saremmo comportati in determinate situazioni, i trainers usavano il teatro invisibile, che avrebbe più di un’affinità con la situazione che stiamo vivendo. Anche se, sempre in chiave complottistica, possiamo dubitare che i responsabili della diffusione del virus avranno la coscienza di rivelarci ad un certo momento che si era trattato di un teatro invisibile, come facevano i trainers ad un certo punto dell’agenda.

La via intermedia tra effetto annuncio e nudge

Nei sistemi complessi, come uno specchio d’acqua dominato dal moto browniano (che abbiamo cercato di rappresentare quando abbiamo descritto il gioco Bomba, scudo e portafortuna), non esistono dunque movimenti neutri. Ossia una spinta ricevuta provoca un’altra spinta esercitata, qualcosa di molto vicino al mito del moto perpetuo. In tale stato di liquidità, ciascuno cerca di raggiungere i propri scopi, ben consapevole che nessun percorso è lineare.

In questo quadro ci interessa ora focalizzare l’attenzione, sul ruolo del decisore politico. Senza dimenticare quanto abbiamo rimarcato in passato circa l’accostamento che Hans Jonas fa di questa figura con quella del genitore, quali esempi di una sorta di “istituzionali generosità e altruismo”.

Privato dello strumento di governo per eccellenza, quale la legge (il che non è mera suggestione se si pensa che i giuristi parlano da tempo di crisi della legge), egli ricorrerà ad un’altra via. Che cerca di rendere il più possibile cogente il richiamo al dovere di cui abbiamo parlato prima.

Cercherà, in particolare, di influenzare il comportamento delle persone ricorrendo ad una gamma di stimoli che vanno dall’effetto annuncio sino ad una forma più esplicita della pratica del nudge.

Si tratta di strumenti molto interessanti per coloro che lavorano con l’uso consapevole della comunicazione.

Il primo consiste nella semplice dichiarazione di successive scelte o misure che indurranno i destinatari a modificare le loro strategie di azione. Se poi ad usare l’annuncio è appunto il decisore politico, avverrà che, maggiore sarà la sua credibilità, maggiore sarà la probabilità che i destinatari del messaggio lo prenderanno sul serio per reimpostare le loro azioni. Ad esempio, l’annuncio del divieto dell’impiego della plastica nel settore commerciale, indurrà i produttori ad investire su altri materiali, con conseguente riduzione della richiesta di quel materiale.

In campo sanitario e sul versante del piano vaccinale, all’effetto annuncio si è accompagnato, in particolare, anche l’introduzione di sistemi di certificazione di aver ricevuto il vaccino.

Ovviamente non tarderà a riproporsi la problematica della tutela della riservatezza, già postasi a suo tempo per i sistemi di tracciamento. Tuttavia, poiché, anche in questo caso, come per la sottoposizione al vaccino, si presta il consenso al trattamento dei dati personali, si avrà la possibilità per l’autorità di subordinare  l’esercizio di determinati diritti al possesso del certificato.

Attenzione, i diritti non verrebbero negati, ma vengono introdotti degli ostacoli al loro esercizio (dal punto di vista giuridico si parla di oneri).

In questo modo si realizzerebbe quella pratica della spinta gentile che la psicologia sociale teorizza e mette a disposizione delle scienze giuridico-economiche.

Già un effetto dal punto di vista dell’ intensificarsi della campagna vaccinale pare lo stia ottenendo il calcolo dei vantaggi in termini di possibilità di circolare, viaggiare e accedere agli esercizi commerciali.

Che cosa inoltre potrebbe produrre, in termini di ulteriore accelerazione, l’eventuale richiesta di risarcimento dei danni causati dal mancato uso dei dispositivi sanitari?

I singoli cittadini non godendo dello “scudo penale”, avrebbero molta difficoltà nel sostenere, infatti, che benché consapevoli dei rischi di contagiare altre persone, non avevano il dovere di tutelare la salute degli altri.

L’argomento secondo cui sarebbe spettato al danneggiato adottare tutte le cautele,  non dovrebbe esoneralo da responsabilità: è infatti risaputo che l’uso delle mascherine contribuisce a ridurre il rischio ma non certo ad azzerarlo.

Doverose conclusioni

Ci sembra necessario, a questo punto, fare delle conclusioni al brano di oggi. Soprattutto perché aver toccato diversi aspetti su come far fronte alla pandemia immedesimandoci nel decisore politico (noi sinora ci siamo più modestamente limitati a suggerire alcuni giochi come strumenti di riflessione) può avere reso necessario richiamare alcuni punti fondamentali.

Le conclusioni cercheranno però anche di collegarsi con uno dei fili rossi che percorrono molti dei brani sin qui pubblicati. Non come  forma di “fissità cognitiva”, speriamo, ma come un ulteriore stimolo a ricercare una chiave di lettura duttile per interpretare in modo coerente fenomeni diversi e solo apparentemente inconciliabili.

Vaccino si vaccino no: il dilemma che si rinnova.

Da sempre la pratica del vaccino si è accompagnata a polemiche, persino di ispirazione religiosa, circa la dubbia liceità della pratica.

Ma certamente ora come allora resiste la motivazione per cui non si dovrebbe intervenire su meccanismi naturali e, si potrebbe aggiungere, specie quando sono stati accelerati dall’uomo stesso. Per cui, al di là del virus, il problema di fondo su cui interrogarci è proprio quello dell’uso che egli sta facendo del pianeta.

A noi ora interessa però porre l’interrogativo su quale possa essere una chiave interpretativa per affrontare il dilemma dell’adesione o meno ad una campagna vaccinale. Rispondendo così in modo il più possibile meditato al di là della presa che su di noi possono avere le strategie sopra illustrate ispirate al nudge.

Bene, a noi pare che i contorni della questione possono essere così riassunti.

Dando per scontato l’uso di tutte le precauzioni necessarie, che porta a distinguere i negazionisti dai complottisti (questi non dicono che il virus non esiste ma che sia stato diffuso scientemente), vediamo le implicazioni delle diverse possibili scelte.

Prima possibilità estrema: rifiuto generalizzato del vaccino.

Il virus verrebbe contrastato da ciascuno sulla base delle sole proprie capacità fisiche difensive, ma chi risulta vulnerabile dovrà guardarsi anche da coloro che pur avendolo contratto senza sintomi o/e avendolo superano senza danno possono trasmetterlo. In tale scenario non sarà possibile prevedere a quante varianti potrebbe dare luogo il virus e soprattutto quando potrà ritenersi conclusa l’emergenza sanitaria.

Seconda possibilità estrema: adesione generalizzata alla campagna vaccinale. Il virus trova poco terreno per moltiplicarsi e per dare vita a varianti. Ovviamente poiché la vaccinazione di numeri imponenti di persone comporterà lunghi tempi di attuazione, si porranno molti dei problemi dello scenario precedente.

A livello individuale, quello che alla fine appare decisivo (l’iniezione è senza alternative individuale) il dilemma che si pone è tra il grado di probabilità di contrarre il virus, con conseguente doppia possibilità della presenza di sintomi o meno, e il grado di probabilità dell’insorgenza degli effetti collaterali della vaccinazione.

In ogni caso quale che sia il risultato, compreso quello che potrebbe rivelarsi persino nefasto per chiunque, l’assunzione del vaccino offre un feedback in termini di conferma della sua efficacia ovvero sulla necessità di modificare il gruppo di soggetti cui somministrarlo.

Ebbene far parte di un gigantesco esperimento in cui noi umani si sia la cavia (al posto dei criceti) oltre a rivelarsi una beffarda vendetta della storia e della biologia, sembra il prezzo da pagare per disporre ora di un virus senza attendere tre lustri.

L’attuale dilemma vaccino si vaccino no sembra in ogni caso richiamare la struttura tipica di un gioco di strategia quale quello che abbiamo descritto in passato dal titolo Dilemma del prigioniero. Al quale Cristina Scarcella ha dedicato un interessantissimo articolo pubblicato in Polymath.

Molto interessante è in particolare la tesi, che corrobora la nostra, circa l’uso dello schema dei giochi a somma diversa da zero per avere una chiave di lettura di situazioni complesse, come del resto quella che stiamo vivendo.

L’autrice indica diverse situazioni concrete che giustificano l’utilità del gioco in chiave interpretativa. Tra queste cita anche gli esperimenti condotti in biologia ed in particolare nella lotta tra virus per accaparrarsi le risorse cellulari per replicarsi.

A noi sembra interessante provare ad ispirarci all’esempio per gettare una luce sui comportamenti con cui viceversa cercare di contrastare la diffusione stessa dei virus.

Raccogliendo le sue preziose indicazioni, siamo persuasi che lo schema di interazione tra umani non sia diversa da quella dei virus.

Tutto ciò a conferma di quanto sosteneva Robert Axelrod nel suo, più volte citato, Giochi di reciprocità, Milano, 1985, per cui la cooperazione può alla lunga affermarsi per imitazione e grazie alla persuasività dei vantaggi rispetto ai rischi della defezione.

Del resto è proprio questa la motivazione dell’affermarsi della società, malgrado i disagi della civiltà.

Pier Gavino Sechi.