La linea della proattività e il sasso nel lago

Premessa.

Oggi ci sembra opportuno cercare di fare il punto della situazione sugli elementi utili per cominciare a tradurre in pratica le indicazioni per l’assertività.

Ciò in vista di un brano in cui cercheremo di costruire una sessione di lavoro  (o come viene chiamata dai trainers, con un chiaro esempio di metonimia, “l’agenda”) di un training dedicato proprio all’assertività. Per una possibile identificazione dei passaggi logici utili per  costruire un’agenda proponiamo lo schema che riportiamo alla fine del presente brano.

Prima di descrivere lo strumento, occorre, però, chiarire un punto molto importante.

I cambiamenti possibili

Che cosa può fare ciascuno di noi su se stesso? Quali sono i margini di cambiamento che può produrre? La domanda  non sembra impropria se, come sappiamo, i primi anni di vita sono considerati decisivi nel dare una forte impronta alla nostra personalità.  Vi è in ciò una contraddizione? Per ottenere significativi cambiamenti sono sufficienti la riflessione e l’adozione di comportamenti nuovi? Per ottenere ciò non è invece necessario ricorrere ad interventi profondi che solo le terapie possono offrire?

Il problema, come si vede, non è di facile soluzione ma, soprattutto, non è per nulla nuovo. Solo  se si pensa che risposte assai differenti sono rinvenibili all’interno della stessa psicologia nella gamma di teorie che vanno dal comportamentismo sino agli  approcci di tipo strategico. Senza poi trascurare che il tema interpella il rapporto tra la stessa psicologia e l’ educazione.

Di tutto ciò eravamo comunque consapevoli sin da principio se all’inizio della fase di diffusione del training alla nonviolenza, il nostro gruppo training di Cagliari diffuse una lettera in cui si chiariva che la proposta non aveva alcun intento terapeutico. Nel senso che il training non prometteva risultati terapeutici ma, cionondimeno, si proponeva come un’ occasione di cambiamenti personali.

Forme di cambiamento

Di che tipo allora?

Diciamo che privilegiamo un approccio ispirato ai piccoli cambiamenti. Lasciando quello del ricorso alla terapia quando siamo costretti a modificarli velocemente.

Non dimentichiamo, infatti, che spesso siamo consapevoli di ciò che non va in essi, ma, per inerzia e, perchè no, per pigrizia rimandiamo l’inizio del processo di cambiamento al futuro. Un po’ come quando sappiamo che abbiamo bisogno di fare attività fisica per stare bene. Rimandando, però. è come ammettere di avere bisogno di un movente molto forte per metterci in marcia. Come una malattia e in generale in un momento di profonda crisi. Prima di giungere a questo punto, come abbiamo detto in altre occasioni, le nostre energie si mobilitano per rendere tollerabile lo scarto tra disagio e benessere. Sperando che una volta fatto lo sforzo supremo di iniziare a fare attività fisica, si producano quelle motivazioni intrinseche per continuare.

Questo schema si ripete per ogni cambiamento.  Contraddicendo l’idea che il cambiamento sia paragonabile all’impresa di Sisifo. Con l’effetto di farci rinunciare al cambiamento perchè troppo impegnativo.

Del resto se non si è in grado di iniziare dai piccoli cambiamenti, neppure le cure da cavallo avranno effetti duraturi. A causa del mancato innesco di quelle motivazioni intrinseche cui abbiamo accennato.

Il modello dell’intraprendere costosi percorsi (anche dal punto di vista economico) presenta del resto l’effetto collaterale di “delegare” al guru ciò che dovremmo sostenere noi in prima persona.

L’ esempio dell’iscrizione in palestra, insegna, inoltre, che non basta essere consapevoli di pagare un servizio di cui non si usufruisce, in quanto non è raro continuare per mesi a pagare con l’idea di iniziare in qualsiasi momento. Momento che sembra non arrivi mai.

I microcambiamenti

L’dea che proponiamo noi è anzichè imbarcarsi in programmi salvifici che iniziano con buona volontà ma si arenano subito dopo,  provare a fare dei piccoli mutamenti che producano cambiamenti dal raggio progressivamente sempre più ampio.

Il vero assertivo è un esperto in questa operazione. Sinora lo abbiamo visto alle prese con le altre figure esistenziali, come se il suo tempo fosse monopolizzato dalla preoccupazione di guardarsi “dalle imboscate”. In verità egli costantemente opera dei cambiamenti intenzionali.

Si può iniziare col salutare anche se non si viene ricambiati. O addirittura coll’introdurre novità contestuali come quelle legate ad una particolare cura nel vestirsi.
Il comportamento, non avendo bisogno delle parole, costituisce una fonte sempre attiva di indicazioni e segnali, Invitando gli altri a tenerne conto e dunque  a prendere posizione.

Si potrebbe pensare che simili sollecitazioni producano cambiamenti troppo lentamente. E’ anche verò però che sollecitazioni  troppo forti (le chiamiamo “spallate”) rischiano di produrre reazioni di chiusura a riccio. Peraltro la loro misura, considerazione che va estesa all’intero fenomeno della comunicazione umana, è stabilita dal ricevente. Al di là di ogni buona intenzione dell’emittente.  E laddove la spallata potrebbe produrre il cambiamento auspicato potrebbe non coinvolgere persone non disponibili a riconoscervene il merito. Lo sappiamo che sarebbe auspicabile un mondo di persone gentili, aperte e disponibili a ringraziare per i suggerimenti ricevuti. Ma la realtà è ben diversa da questo auspicio. E in generale i principi devono essere tradotti in comportamenti concreti.

L’appello alla gerarchia e i suoi effetti (collaterali)

Naturalmente, a scanso di equivoci, non dobbiamo essere rigidi. Quando si presenta la necessità di ordini perentori è doveroso pronunciarli. Come nell’episodio del soccorritore che debba salvare una persona da un incendio. Non ci sono alternative , bisogna in questo caso fare come dice la persona esperta.

Ma in generale esigere i cambiamenti appellandosi alla propria autorità durano poco. Possono essere molto spesso solo formali e difficilmente sostanziali. Ed anzi ricorrere al richiamo al ruolo gerarchicamente superiore (il cosiddetto petitum ad auctoritatem) potrebbe paradossalmente incrinarne l’autorità. Il capo stesso avrà il problema di non sapere se all’ordine si obbedisce per la sua saggezza o per il timore delle conseguenze disciplinari.  Abbiamo detto più volte che costituisce un paradosso “pretendere” che qualcosa si verifichi “spontaneamente”.

Il granello di polvere

Dunque, ricorso ai grandi e rivoluzionari cambiamenti a parte, che possono essere richiesti per correre velocemente ai ripari, come dopo la scoperta di una grave malattia, non ci sono alternative. Bisogna procedere per gradi. Ricercando il punto da cui partire. E dunque a seguito di una certosina individuazione del “granello di polvere” che inceppa il meccanismo.

A tal fine proponiamo. ricorrendo allo strumento alla fine del brano, un modo per fare una diagnosi di “come” ci poniamo e dunque per acquisire quella sorta di sensazione di disciplina per uscire da quello che parafrasando Remo Bodei potremmo chiamare stato di semincoscenza. Quella condizione, cioé, che ci porta se non a vivere come bruti o come automi, certamente a indulgere eccessivamente a scelte ispirate a quel modello di razionalità limitata di cui tanto si parla. Quantomeno come una delle chiavi di lettura dell’attuale condizione umana. E che sembra giovare più chi ha interesse a vendere che i consumatori.

……CONTINUA……

 

Pier Gavino Sechi.