Un altro insegnamento ascrivibile al magistero dell’inconsapevole Prof. Covid può essere intitolato “il processo di infiltrazione”, di cui costituisce un piccolo ripasso il gioco L’infiltrato, attinto dal nostro bagaglio di giochi e riportato al termine del presente brano.
I punti cardine del loro insegnamento (di Prof. Covid e del gioco che vi proponiamo…) possono essere così riassunti:
1)-l’infezione di un virus si propaga grazie alla collaborazione della vittima: più questa si muove, entra in contatto con altri, non importa il motivo, e più si propaga velocemente. La vittima lavora per il carnefice mettendo in pratica quel fenomeno che in natura prende il nome di parassitismo.
2)-in generale il successo di una strategia, come in questo caso quella dell’infiltrazione, non richiede ciò che noi umani chiamiamo intelligenza e neppure il possesso del cervello.
Anzi, il possesso di questi elementi, il secondo in particolare, dopo averci staccato dallo sfondo immutabile della natura, come sostiene il pensiero degli antichi Greci (una delle radici del pensiero occidentale), ci starebbe ora mettendo davanti un conto da pagare assai salato: la dipendenza dalla tecnica, come sostiene il Nichilismo. Non solo e non tanto dal punto di vista materiale, ma, soprattutto, dal punto di vista del rappresentare oggi pressoché l’unico totem in cui credere. Ciò a causa della promessa di un miglioramento continuo delle nostre condizioni di vita e dell’allontanamento di quel momento che per gli antichi era assolutamente incluso nella definizione dell’uomo, cioè la morte.
3)-più la vittima nega l’esistenza del virus (del resto chi gira col microscopio?) o ne minimizza gli effetti e più l’infiltrazione del virus ha successo, producendo danni le cui proporzioni non hanno nulla da invidiare a quelle causate da una guerra mondiale, da una dittatura sul piano della limitazione delle libertà o da una crisi economica pari a quella del periodo ‘29-‘32 del secolo scorso.
Avendo ascoltato che così ha parlato Prof. Covid, dopo aver messo in ordine gli appunti di ciò che ogni scolaretto dovrebbe sapere, penso sia possibile svolgere il tema assegnatomi (nel senso che me lo sono assegnato da me medesimo) sul processo dell’infiltrazione.
Svolgimento.
Non essendo un’inondazione, l’infiltrazione procede goccia dopo goccia sino ad arrivare ad una soglia che ricorda il paradosso del sorite o del mucchio. Aggiungendo uno dopo l’altro un granello di sabbia qual è il momento in cui si può dire che si arriva ad ottenere un mucchio?
Spesso al concetto di infiltrazione diamo un significato negativo. Ma in verità è un fenomeno che in sé e per sé di positivo o negativo non ha nulla. Tanto è vero che il fenomeno si ha anche di fronte a processi che producono effetti positivi. Se i tempi sono rispettosi del nostro interlocutore, ad esempio, persino la parola può produrre effetti di trasformazione.
Il gioco che proponiamo oggi attira l’attenzione proprio sull’infiltrazione come prodotto di una strategia basata su un accordo tra i giocatori che condividono un codice di riconoscimento.
E’ questa la simbolizzazione di ciò che accade nella realtà in molti campi: da quello militare a quello chimico dei contagi e delle pandemie. Ma tale strategia è adottata anche da “commando” di attivisti come quelli di Greenpeace, ad esempio, per il conseguimento di obiettivi significativi nell’ambito delle loro campagne.
Ma quali sono le differenze a seconda che la strategia consegua risultati positivi o negativi?
Naturalmente, al netto di tutto ciò che potremmo dire per stabilire quando una cosa possa essere definita positiva o negativa. Positiva o negativa per chi?
Ad esempio, l’infiltrazione della mafia nelle istituzioni è, paradossalmente, positiva per la mafia stessa, e comunque per tutti coloro che in qualche modo ritengono di trarne un vantaggio…
Al netto di ciò, però, l’infiltrazione che porta a risultati negativi a lungo andare non può che danneggiare anche chi la determina. Così la stessa mafia non può avere interesse a dilagare in quanto ha ben bisogno, al contrario, di un corpo sociale sano da sfruttare….avrà bisogno, ad esempio, di chi svolge un’attività economica, se vuole ottenere il pagamento del pizzo… Il virus ugualmente è destinato a morire se muore il corpo fisico che ha infiltrato…ma non avendo il cervello non è in grado di porsi dei limiti di espansione…
Quale può essere, però, l’utilità di tale distinzione?
Abbiamo già visto analizzando il Dilemma del prigioniero che esistono strategie cooperative in grado di reagire e isolare i tentativi di affermarsi da parte di strategie “defezionanti”.
Le prime, però, sono tanto più efficaci quanto più assumono una struttura stabile, diventando resistenti nei confronti dei defezionanti i quali sono in grado di raggiungere solo entro certi limiti livelli di cooperazione efficaci contro di esse.
Non è un caso che non esiste LA Mafia ma LE mafie. Il che potrebbe apparire inquietante, ma è pure il segno che esistono organizzazioni che, comunque, superata una certa soglia, tendono a combattersi a vicenda.
Altra consapevolezza da acquisire è quella legata all’ordine quantitativo. Per definizione le vittime devono essere in numero molto maggiore dei rapinatori se questo loro ruolo deve risultare vantaggioso.
La differenza sta nel fatto che spesso le vittime non sono organizzate, vedi appunto il gioco L’infiltrato e, se lo sono, adottano strategie difensive troppo costose, cioè tali da mettere a repentaglio i valori su cui basano la loro esistenza. Pensiamo a ciò che è accaduto dopo gli attentati terroristici del 2001 sul suolo americano: al di là dei danni provocati dall’azione terroristica, i danni di lungo periodo sono stati ben più consistenti, comportando una strategia di sospetto, di chiusura e persino di aggressione militare ad altri paesi che in qualche modo è stato l’obiettivo, forse inconsapevole, più rilevante ottenuto dai terroristi. Ancora, un altro esempio può essere rappresentato dagli alti costi in dispositivi difensivi che devono sostenere gli abitanti dei quartieri a ridosso delle favelas.
Questi insegnamenti possono essere applicati alla metafora di maggiore attrazione in questo periodo: la metafora delle mele marce, per stigmatizzare i comportamenti delittuosi di soggetti appartenenti a categorie che pure si ispirano a valori da essi traditi.
Sinora abbiamo dato per presupposto che l’attacco di un virus o di un parassita della frutta sia improvviso e che prima di quel momento non vi siano avvisaglie.
In verità nulla può accadere se già non ci sono le condizioni propizie perché ciò accada. Ad esempio, l’indebolimento del sistema immunitario del corpo umano può essere benissimo una di tali condizioni. Oppure l’uso di pesticidi inefficaci nei confronti di certi organismi patogeni. Oppure, sul piano sociale, come un certo tipo di comportamento che sottovaluta la pericolosità di certe prassi discutibili sul piano morale, prima che connotarsi come reato, può creare il terreno fertile per l’infiltrazione mafiosa.
Il fatto è che tali segnali anticipatori vengono sottovalutati in quanto frutto di strategie “deboli” destinate ad essere battute da quelle dannose. Proveremo ad illustrare tra qualche tempo una serie di proposte su questo versante, riprendendo il filo del discorso già iniziato a partire dall’alternativa al Tutto Troppo Presto.
Ecco perché prima che si manifestino le mele marce bisogna rendersi conto che esiste già in atto un’infiltrazione di agenti patogeni forse segnalabili tempestivamente.
Poi, quante mele marce bisogna avere prima che si possa dire che il cesto che le raccoglie ne è ormai invaso? Certo ciò potremmo stabilirlo se conoscessimo il numero complessivo delle mele. Ma fuori dal cesto, e quindi dalla metafora, questi calcoli sono molto più complicati.
Certo è che come l’educatore dovrebbe insegnare come si vive e poi concentrarsi sull’eccezione della violazione delle regole, così il giornalista dovrebbe dare notizia anche dei comportamenti positivi oltreché dei casi di frutta marcia.
Ma voi la leggereste la notizia su chi ogni giorno si comporta correttamente?
Pier Gavino Sechi.