Tamgram e T-Group (in ricordo di Enzo Spaltro)

Premessa.

In perfetta continuità con i giochi nonverbali e con quanto esposto nel brano Jazz band, è ora la volta di Tamgram (vedi alla fine). Strumento dai mille usi e particolarmente consigliato per una vasta gamma di finalità tematiche: dall’educazione alla comunicazione, sino all’esercizio della leadership all’interno del gruppo. Passando per l’analisi delle dinamiche di gruppo. Tema per il quale ci sembra possibile accostare Tamgram al T-Group. Cogliendo così l’occasione per tributare la nostra riconoscenza  ad Enzo Spaltro a poche ore dalla sua scomparsa. Autore cui il gruppo training di Cagliari deve non solo gli insegnamenti dei suoi innumerevoli testi, alcuni citati nei nostri manuali. Ma anche quelli più diretti, offertici con la sua presenza in Sardegna. Ed in particolare in una specifica occasione, risalente al 2003, in cui fece, in team con Milena Ambrosini, un uso particolarmente interessante del T-Group. Proprio per permetterci, appunto, di analizzare le dinamiche del nostro gruppo.

Il ritorno dell’io nell’organizzazione

La visionarietà di un autore come Enzo Spaltro, di cui non abbiamo certo la pretesa di illustrare il percorso intellettuale, ma i frammenti depositati in noi, la si può cogliere già in questo concetto di fondo. Con cui sembra assumersi la responsabilità di chiudere con la stagione della contrapposizione tra bisogni alti del lavoratore, ulteriori rispetto al portare a casa il pane, e contesto aziendale  in cui questo bisogno materiale si esprime. Egli sembra anticipare con forza, la concezione ergonomica dell’intero contesto aziendale. E di conseguenza l’impresa come luogo di benessere attraverso cui il lavoratore non solo adempie agli obblighi contrattuali ma aspira e pretende di realizzare la sua personalità.

La critica alla psicologia del benessere

Se però questo è il terreno di partenza del  rovesciamento proposto da Enzo Spaltro, ad esso non poteva sottrarsi, come in un processo inarrestabile, la messa in discussione degli stessi strumenti con cui ci si era approcciati sino a quel momento al malessere e al benessere organizzativo.

Da questo punto di vista, gioca così un ruolo fondamentale la messa a punto di una prospettiva di analisi che contesta l’adeguatezza dell’armamentario proposto dalla psicologia del lavoro e perchè no, per interposta persona, della stessa psichiatria. Disciplina anch’essa ben nota al nostro autore. Responsabili entrambe di avere le armi troppo puntate verso l’identificazione della malattia, del disagio e del malessere.

L’invenzione della psichica

Per esplorare le condizioni del benessere servirebbero, invece, strumenti meno invischiati con l’oggetto da indagare e che peraltro si spera di non trovare (il malessere e l’alienazione appunto), più neutrali come un termometro che misura la temperatura ma non è un ferro da sala operatoria. Serve quindi un armamentario nuovo che esplori gli aspetti psichici senza che sia ancora, o per forza, psicologia nè tantomeno psichiatria. Ecco l’area di azione che Enzo Spaltro individua per la psichica. Un modo di guardare alla psicologia meno compromesso e colluso con l’oggetto negativo di analisi. E che ci permette di collegarlo dentro quel filone di matrice americana che evoca una figura di professionista capace di vedere, oltre il sintomo, il paziente. Sino ad investire nella relazione per collegare la malattia alle capacità generali della persona di cogliere i messaggi di “saggezza del corpo”, secondo la felice formula con cui  Moshe Feldenkrais intitola il suo libro La saggezza del corpo, Roma 2011. Filone che per noi si intrecciava con quello che dalla scuola di Palo Alto si sviluppava con i contributi di Carl Rogers e ora a quelli di un autore come Martin Seligman: teorico, non a caso, dell’impotenza appresa.

La filosofia dell’abbondanza contrapposta a quella della scarsità

Chi è in grado di fare scelte tanto dirompenti, come il Nostro, non può meravigliare se poi genera frutti sul pensiero in generale. Ed in particolare in campo educativo. Solo se riflettiamo che la critica suvvista agli strumenti di indagine non mette solo in luce difetti locali o incidenti di percorso. Ma denuncia errori di impostazione concettuali e culturali. Saremmo cioè più portati a considerare più veri e più comunicabili la sofferenza e il dolore, piuttosto che i sentimenti positivi. Spesso relegati ai non luoghi, del futuro col rinvio dei fini e del passato in chiave di rimpianto.

Dall’antinomia alla ristrutturazione

Come non rintracciare nella dicotomia scarsità-abbondanza, altro tema forte dell’insegnamento spaltriano, un filo rosso che alle nostre orecchie richiamava il concetto di ristrutturazione in favore del secondo polo? E non per proporre visioni allucinatorie di beni di cui non si riconosce la limitatezza, ma per tenerne conto così da tentarne una sorta di moltiplicazione attraverso il richiamo al loro rispetto, al mancato spreco e allo scambio. Sino a portare tale meccanismo sul terreno più consono dei beni relazionali e dei beni comuni. Ben sei anni prima che nel 2009 venisse conferito il premio Nobel per l’economia, per la prima volta ad una donna, a Elinor Ostrom per i suoi studi proprio su questi tipi di beni.

T come Tamgram e T-Group

In un precedente brano abbiamo riferito come Renzo Carli ricostruisce l’invenzione del T-Group. Qui vogliamo individuare gli elementi  comuni che esso avrebbe, a nostro giudizio, con il Tamgram. Tutto ciò collegato col discorso che stiamo sviluppando attorno a come si può prendere efficacemente l’iniziativa verso il cambiamento. Ruolo che abbiamo assegnato all’assertivo in quanto posizione esistenziale interessata ad introdurre mutamenti sostanziali nel contesto in cui opera recando risultati a beneficio di tutti. Programma che solo in teoria appare agevole, in quanto in concreto nessuno ha in anticipo la prova che chi profetizza cambiamenti positivi di questo genere, lo faccia senza voler approfittare degli altri. In sostanza viviamo continuamente una condizione non dissimile a quella illustrata quando abbiamo parlato del gioco Dilemma del prigioniero. Condizione che sarebbe erroneo confinare ad ipotesi di scuola o a casi estremamente rari. Difatti, sembra che rispetto ai giocatori di quell’esercizio, noi abbiamo la possibilità di metacomunicare con i nostri simili così da calibrarne  le intenzioni. In realtà, non sempre siamo persuasi che il frutto di tale comunicazione non nasconda qualche tranello e non sia una sorta di pretattica o di raggiro da prendere con le molle. Cosicchè la condizione dei giocatori nel dilemma del prigioniero non deve essere considerata così diversa dalla nostra esperienza quotidiana.

La valorizzazione dei pre-giudizi

Del resto, ogni assertivo sa che la persuasività di quanto asserisce è una variabile dipendente dai pre-giudizi di chi riceve la comunicazione. Con la conseguenza che cercare di essere molto convincenti o al peggio non “accogliere” quei pregiudizi, può sortire l’effetto opposto della chiusura a riccio dell’interlocutore.

La vera abilità sta perciò nel trovare la giusta misura in relazione alle sue caratteristiche. Senza escludere la possibilità che risulti più efficace una strategia allusiva, se non persino seduttiva, per determinare l’interesse e la curiosità. Così come sappiamo che in campo educativo nascondere o proibire qualcosa spesso ottiene l’effetto opposto di renderne più acuto il desiderio . Si tratta di una strategia che in passato veniva usata ingenuamente dall’educatore e che troviamo magistralmente descritta da diversi autori, da Alessandro Manzoni, ad esempio. Allorchè ne I promessi sposi descrive una Donna Prassede alle prese con l’arduo obiettivo di far allontanare Lucia da Renzo. La soluzione adottata, consistente in un opera demolitoria dell’immagine del ragazzo, sortisce però l’effetto diametralmente opposto di rendere più fisso il pensiero della ragazza verso l’amato. Direbbe Paul Watzlawick che in questo caso la soluzione diventa il problema. Ma ci offre un altro fulgido esempio letterario Elias Canetti ne La lingua salvata. Storia di una giovinezza, Milano 1991. Un’autobiografia in cui narra che più gli si proibiva di leggere e più sofisticati diventavano i suoi stratagemmi per coltivare la lettura presto diventata irresistibile passione.

L’insostituibile ricchezza del feedback

Avviare il cambiamento, alla stesso modo della comunicazione efficace, significa, dunque, adeguare le mosse alle caratteristiche del contesto e degli interlocutori. Cosicchè ruolo fondamentale viene rivestito dal feedback. Che troviamo in entrambi i giochi di cui stiamo parlando. Proprio perchè nessun reale cambiamento, come abbiamo avuto occasione di ribadire, può fare a meno dell’adesione piena delle risorse presenti nel contesto. Specie se si tratta di persone, per definizione tutt’altro che macchine banali per stare alla definizione che dell’uomo ne da Heinz von Foerster in Sistemi che osservano, Roma, 1987.

L’apprendere ad apprendere

E’ dunque il feedback che detta le condizioni dell’efficacia della proposta innovativa. E spetta a chi propone il cambiamento saperlo interpretare non come rigetto della proposta. Ma come il manifestarsi, cui essere in un certo senso grati, dell’ insieme di condizioni di cui tenere conto per ricalibrare la proposta stessa, secondo ciò che abbiamo già descritto in termini di processo stocastico. Che unisce, in questo caso, la novità della risposta di chi riceve la proposta con la capacità del proponente di tenerne conto come base per fare le mosse successive. Secondo le fasi del processo definito da Gregory Bateson deuteroapprendimento o, in altri termini, apprendere ad apprendere.

Sia il Tamgram che il T-Group possono essere considerati come situazioni in cui bisogna agire, verso lo scopo di riprodurre un’immagine (ma può essere previsto che tra quelle possibili non vi sia un previo accordo tra i partecipanti) o di strutturare una situazione dotata di senso. Per evitare quantomeno la spiacevole sensazione tipica di personaggi in cerca di autore. In questi casi, per sfuggirvi i leader riprenderanno in mano la situazione? E se si tratta di un gruppo di lavoro, si parlerà di questo riproducendo fedelmente la routine quotidiana? O si approfitterà della singolarità della situazione per lasciare spazio a dinamiche inedite?

Peraltro non sfugge la possibilità di collegare lo strumento del T-Group all’ analisi delle dinamiche del gruppo nella fase dello storming. Senza escludere che esso dia luogo proprio a tale fase, rompendo l’avvicendarsi delle fasi di vita del gruppo per come rigidamente descritto in letteratura.

Strade laterali (back streets)

Fu questo il titolo di un training “tematico” ossia di un training in cui i giochi, poi apparsi nei nostri manuali, venivano utilizzati, non senza varianti e reincorniciamenti ante litteram, per guidare la riflessione dei partecipanti. Lo prendiamo a prestito per fare un collegamento con quanto ci insegnano Tamgram e T-Group su un livello, quello collettivo, che riteniamo sempre complementare, insieme a quello gruppale, a quello personale.

Proviamo allo scopo di tracciare alcuni punti fermi:

1)-il cambiamento per essere duraturo non deve ispirarsi a quella sorta di “estetismo”, cioè a un sogno utopistico di perfezione e di armonia, che secondo Karl Popper in La società aperta e i suoi nemici, Roma 1973-’74, provoca violenza. Notiamo come ciò avverrebbe a causa della rigida applicazione al livello sociale di una dimensione individuale. A tale programma rigido si contrapporrebbe,  in luogo delle grandi strade maestre, la metafora delle strade laterali.

2)-il cambiamento è il risultato della comunicazione e della relazione. Dunque come questi devono tenere conto dell’interlocutore, a maggior ragione il cambiamento deve essere accettabile per chi altrimenti lo subirebbe (vedi il punto precedente)

3)-anche il cambiamento è il risultato di un gioco a somma diversa da zero in cui il promotore intraprende un processo stocastico

4)-il cambiamento di cui stiamo parlando è quello che realizzerebbe il bene comune. Tale aggettivo non può prescindere dalla piena adesione del promotore e di chi riceve inizialmente le proposte di cambiamento.

5)-un cambiamento teso al bene comune sottintende una concezione non monolitica del potere

6)-perchè il cambiamento sia frutto della convergenza dei bisogni di tutti verso il bene comune, bisogna garantire le condizioni che contrastino il pensiero unico.

7)-la realizzazione del bene comune deve fare i conti con la necessità di strutture organizzative stabili ma non rigide. Dai rischi dei vincoli imposti dalle organizzazioni in generale rappresenta un richiamo l’intera opera di Enzo Spaltro.

8)-un forte contributo  a tenere insieme il valore della libertà con il cambiamento è costituito da ciò che  sempre Karl Popper chiama la tecnologia sociale “a spizzico” con l’esortazione a procedere un passo alla volta.

In conclusione, vedremo in un altro brano come questa serie di spunti si colleghi con la strategia del nudge, di cui va valorizzato il significato educativo e posta la questione se possa servire come utile suggestione per i cambiamenti organizzativi oltrechè personali.

Pier Gavino Sechi.