Prove tecniche di dominio

Premessa

Il gioco cui ci riferiamo in questo brano ed intitolato  La struttura di potere (vedi sotto), esula da quelli descritti nei nostri manuali. Venne proposto, infatti, nel 1997 da Paolo Senor, durante il seminario  di un corso europeo sulla mediazione nonviolenta ai conflitti.

Lo rievochiamo in questa sede per descrivere un tipo di trappola psicologica dalla quale deve guardarsi l’assertivo. Quella posizione esistenziale, cioè, che secondo la teoria transazionale avrebbe un atteggiamento positivo sia nei confronti degli altri che di se stesso. Tanto che nei brani precedenti l’abbiamo  accostata alla strategia colpo su colpo nell’ambito di quel tipo di interazioni descritto a partire dalla nostra versione del Dilemma del prigioniero.

Chi me lo fa fare?

Ora qui si ripropone la domanda già formulata a più riprese, di quale sia la motivazione che spinga l’assertivo a sottrarsi al gioco socialmente molto in voga, di averla vinta. Anche semplicemente sul piano verbale se non proprio su quello fisico. Specie in una cultura come la nostra che ci spinge ad avere l’ultima parola. E in cui il rifiuto delle provocazioni viene giudicato come segno di debolezza. La strategia colpo su colpo prevede che in caso di incontro con un defezionante, si debba defezionare per reagire al torto subito. E in effetti tale comportamento sarebbe finalizzato a comunicare proprio il messaggio che non si è disposti a subire la defezione. Mossa però che viene subito fatta seguire da una un’ altra di cooperazione. In altri termini la defezione in risposta alla defezione assume la funzione di rendere più chiara la strategia cooperativa. Cosa che verrebbe frustrata se si continuasse a cooperare malgrado la defezione subita.

Dunque l’uso della defezione avviene in un quadro di cooperazione che, una volta radicatasi, continua a ispirare il comportamento dell’assertivo.

L’escalation come gioco

Ma come affrontare l’escalation in cui spesso ci troviamo coinvolti?

In primo luogo interpretare la situazione in cui ci troviamo come se fosse un gioco per usare tutte le potenzialità che ciò comporta, compresa l’idea che vi sia una soluzione visibile solo se si crea quella separazione tra giocatore e situazione concreta necessaria per elaborare strategie tali da far fronte anche a elementi come il caso, l’incertezza, la fortuna. Nel linguaggio comune, non per nulla, si usa consigliare di vedere le cose come un gioco, per facilitarci il compito da svolgere.

A questo punto bisogna chiederci quale sia la posta in gioco. In quanto il gioco sarà virtuoso tutte le volte in cui si vincerà sull’altro ma in vista di un obiettivo utile anche per lui.

Ciò ricorda la strategia socratica di attirare l’attenzione dell’interlocutore sui punti deboli delle sue affermazioni.  Allo scopo di indurlo ad approfondire le sue posizioni. Nel nostro caso per introdurlo ad una logica relazionale.

Un esempio può essere utile a riguardo.

L’effetto eco

Chi vuole introdurre cambiamenti positivi in un sistema, non è raro che appena incontri resistenze, sia tentato in buona fede e per coerenza a combatterle e più forti queste diventano maggiore di enta diventa la forza per sovrastarle secondo una sorta di effetto eco.

Inutile dire che ci troviamo in questo caso nella classica situazione in cui la soluzione diventa il problema. Più si cerca di operare un cambiamento di contesto e meno questo si mostra modificabile (escalation).

Con la conseguenza che il confronto si radicalizza alimentandosi degli stessi detriti che le mosse dei giocatori lasciano sul terreno. Sino ad un punto oltre il quale si perde persino la memoria dei motivi originari per cui la partita aveva preso avvio.

Ciò che probabilmente potrebbe sottrarre i giocatori da una partita come questa è il richiamo a quel livello di interesse comune cui far convergere le energie del cambiamento.

Ma come?

Un tetto all’escalation

Una prima strategia utile potrebbe essere costituita dal porsi un limite temporale, scaduto il quale abbandonare il campo.

Anche nel caso in cui tale elemento non venga esplicitato all’avversario, porsi un limite ha la funzione di evitare all’assertivo di perdere la cognizione del tempo e di cadere nella stessa trappola psicologica per cui, ad esempio, continuiamo ad aspettare l’autobus in ritardo per poi scoprire che sommando i minuti di attesa abbiamo finito per attenderlo per un tempo assai più lungo di quello che avremmo voluto se ci fossimo posto un limite iniziale.

La variabile dell’annuncio del ritiro

Una variante a tale strategia potrebbe essere costituita dall’annunciare il ritiro prima di fare l’ulteriore mossa efficace. In questo modo si abbandona ugualmente il campo, come nella strategia base ma trasmettendo il messaggio che non lo si fa perchè si sono esauriti gli argomenti, ma in quanto si è contrari alla dinamica in atto.

Il cambio di registro del gioco

Anche nei caso in cui l’avversario si dimostri sordo ai richiami sull’insensatezza del gioco in atto, non è detto che sia del tutto chiuso alla prospettiva di spostare la vis gladatoria su un altro gioco.

Sarebbe cioè opportuno, dunque, mano mano che procede il gioco originario, aprire una partita parallela su un altro piano. Ossia un altro tipo di contesa che possa interessare l’avversario specie se la prospettiva giunge in un momento in cui teme di non riuscire a vincere.

In un altro brano abbiamo parlato, infatti, di come sia importante, per sbloccare l’empasse di un gioco bloccato su una dinamica competitiva, fare in modo che l’avversario non perda la faccia. E’ questo rischio, infatti, che costituisce, a volte più di altri, la ragione per cui si preferisce continuare a lottare anche quando tutto è perduto. Non si vuole sopravvivere all’infamia, in una cultura ispirata all’onore delle armi.

La strategia del cambio del gioco potrebbe funzionare proprio a partire dalla considerazione che al nostro avversario potrebbe interessare vincere. E perchè non vincere anche se non ci fossero vittime e dunque, forse, anche vincere insieme ad un altro vincitore?

E ovviamente non ci stiamo riferendo alla vittoria ex aequo, ma a quella propria dei giochi a somma diversa da zero.

Cambio della posta in palio

Un’altra strategia che in un certo senso opera una ripresa dello schema al rialzo del gioco La struttura di potere, pur dentro una cornice di gioco a somma diversa da zero (in cui si vince o si perde insieme) è quella utilizzabile nelle relazioni asimmetriche per funzione.

Con questa formula vogliamo riferirci al rapporto in cui uno dei soggetti è legittimato a non assecondare in modo puntuale la richiesta espressa dall’altro. Un tipico esempio è quello del medico il quale ha persino il dovere di rifiutare la terapia richiesta dal paziente, se essa è dannosa o anche solo superflua.

Ma ugualmente in questa chiave va letta la stessa relazione tra educatore e persona da educare. Ma ci sono autori, come Hans Jonas, che ritengono interpretabile secondo questo schema persino la relazione tra statista e popolo.

Ciò a riprova, come insegnatoci da Gregory Bateson, che quando parliamo della forma o della struttura di un determinato fenomeno o processo (tutti i fenomeni sono processi in quanto sono destinati a mutare costantemente)  ci poniamo nella condizione di individuarle ai diversi livelli di analisi. Sia che striamo parlando del rapporto tra due persone o tra due nazioni. Cambiano ovviamente altri elementi, ma la struttura della relazione tende a ricalcare le medesime regole.

Approccio reattivo e approccio proattivo

Che cosa hanno in comune i due tipi di relazioni asimmetriche per funzione?

Sono entrambe proattive in luogo di reattive. Cioè sono in grado di focalizzare l’attenzione dell’interlocutore su risposte il cui valore non risiede nell’asaudimento della domanda, ma nell’effettivo suo bisogno. Elemento di cui egli potrebbe non essere consapevole.

Il si del genitore alla richiesta del figlio può essere reattiva ma non necessariamente proattiva. Viceversa il no potrebbe essere un no alla domanda che punta a una risposta reattiva, per assumere una prospettiva proattiva.

Sono in gioco due livelli in tale interazione: quello della domanda, che mira a soddisfare un bisogno concreto e quello della risposta che potrebbe essere reattiva o proattiva. Difficilmente la prima lascia spazio alla seconda. Questa quando accompagnata dal no sul primo livello, si sviluppa a partire dalla capacità di dargli un senso.

La fatica di chi fornisce risposte proattive, si tratti del medico, del genitore, dell’educatore o dello statista sta nella gestione dell’impopolarità del no. Di qui la tentazione a non dire mai di no.

Pier Gavino Sechi.