John Rawls…o Rolling Stones?

Dobbiamo rispondere a chi ci ha chiesto quando avremmo parlato dei Rolling Stones…

Dopo un attimo di perplessità abbiamo capito l’equivoco…Nel precedente brano abbiamo menzionato John Rawls e probabilmente il maligno T9 ha generato nei devices di diversi lettori le parole Rolling Stones…Ci scusiamo per l’inconveniente con gli amanti della musica e con quanti, speriamo pochi, rimarranno delusi se invece di parlare dei Rolling Stones parleremo di John Rawls…Anche se, a proposito del gruppo rock, dobbiamo confessare la tentazione di usare il nome pietre rotolanti come metafora per parlare del nostro approccio alle nuove tecnologie…(così, almeno un minimo di indennizzo lo pagheremmo agli appassionati del rock).

Ebbene, procediamo con ordine.

In che cosa riteniamo sia importante John Rawls? Egli si è distinto non solo per il suo capolavoro, una Teoria della giustizia, Milano, 2017…ma pure per l’ingegnosa modalità, descritta nel suo libro e chiamata esperimento mentale, con la quale ha risolto un problema mica da poco che si presenta spesso quando un gruppo di persone cerca di elaborare una serie di regole di convivenza da mettere in pratica.

Abbiamo suggerito nel brano precedente (Diamoci una regolata!)  che il modo migliore per evitare di stare in balia degli avvenimenti è quello di costruire contesti in cui si possa vivere secondo ritmi più in sintonia con i bisogni vitali della specie cui apparteniamo. Sennonché scommettiamo che se questo fosse un webinar, comincerebbero a fioccare in calce alla pagina le prime obiezioni…tra le quali campeggerebbe, forse a caratteri tutti maiuscoli, cioè un urlo in linguaggio web, ma come si fa a capire quali bisogni sono davvero umani?

Anticipiamo che la domanda sarebbe oltreché interessante, corretta.

In verità sarebbero quattro le possibili modalità…per individuare i bisogni umani e che proviamo a descrivere.

1)-la decisione la prende per tutti il tiranno o capetto di turno (ma abbiamo visto come va a finire…)

2)-la decisione la prende la pubblicità e noi seguiamo passivamente le sue indicazioni manipolatorie che ci inducono dei bisogni artificiali che mandano in tilt tutto ciò che abbiamo imparato da Abraham H. Maslow in Motivazione e personalità, Milano, 2010, in particolare la famosa scala dei bisogni.

3)-coloro che si siedono attorno ad un tavolo per creare delle regole condivise sono allineati dall’aver tutti, nello stesso momento storico…visto in faccia la morte…

Eh già! se c’è, infatti, un misero senso nella guerra (ma si possono cercare alternative…), può essere trovato nel fatto che i sopravvissuti hanno visto e fatto cose talmente “vere” che non basterà la differenza di fede politica per dividerli sui valori fondamentali…vita…libertà…Tutti i più grandi esempi di Costituzioni, fatte per durare, non a caso rappresentano dei documenti che segnano passaggi d’epoca segnati spesso da guerre sanguinose, e fondano comunità che sui valori espressi in quei documenti fondano la loro identità. I problemi invece si presentano quando via via si affievolisce la memoria del prezzo pagato per difenderli.

4)-e noi che apparteniamo alle generazioni rispetto alle quali ogni giorno sparisce qualcuno che ha visto la morte in faccia…come possiamo fare? Basta il discorso persuasivo? Non appartiene questo al secondo punto, sebbene sotto una forma diversa…? E poi, lo sappiamo, per il persuasore vittorioso sembra tutto facile, ma appena finita l’impresa di imporre agli altri la sua volontà, nascono subito le difficoltà della sua concreta applicazione, con la conseguenza che tutte le resistenze, prima solo piegate, riprendono forza e diventano fuga, boicottaggio e sabotaggio….

Allora, che fare? Del resto lo sappiamo che quando cerchiamo di proporre delle regole, dei doveri in particolare, che valgano per tutti, partiamo dai nostri desideri, dalle nostre caratteristiche e pertanto nel proporre è assai difficile sfuggire a quella trappola che con linguaggio altisonante possiamo chiamare “conflitto di interessi” …

Ma non tutto è perduto! Anzi, ecco che entra in scena John Rawls…dandoci la quarta possibilità per uscire dall’empasse.

Prima, però, va detto che il riferimento a John Rawls ci da l’occasione per vedere sotto una ben diversa luce…il fatto di aver letto, studiato e perché no, aver frequentato la scuola…

Sono sicuro che se fosse possibile, alla fine della schermata apparirebbero commenti tipo…esagerato! Ma che cosa c’entra tutto ciò con la morte in faccia? e forse pure W i Rolling Stones (il solito tifoso sfegatato…)

E invece c’entra…al netto di quella che sapete che cosa sia la pedagogia della sofferenza spesso praticata a scuola…Infatti, perché si deve frequentare la scuola e studiare per trent’anni? oltre a quel detto che rischia di suonare come una condanna, che gli esami non finiscono mai (fossero gli esami del sangue…sarebbe più accettabile…) e che oggi vale il lifelong learning…(si impara per tutta La vita…sic!), se poi di fronte ad un problema ci sembra di non sapere mai che pesci prendere? Dove sono tutti i personaggi di cui abbiamo saputo vita, morte e miracoli?

Col rischio di buttarci in braccia al detto, ma ormai sarebbe troppo tardi, che l’ignoranza rende felici?  Come sostiene Michael Smithson, Studi sull’ignoranza: interdisciplinare, multidisciplinare e transdisciplinare in L. McGoey e M. Gross (a cura di), International Handbook of Ignorance Studies, London 2015.

Naturalmente siamo ben consapevoli che l’autore si riferisce all’ignoranza secondo un significato non diverso da quello socratico. Però la provocazione rimane tutta, se è vero che esiste il noto paradosso di Dunning Kruger   per il quale chi è curioso e si mette in discussione, alla fine risulta più insicuro di chi meno sa…

Il parodosso, infatti, andrebbe corretto col fatto che non basta sapere di più ma sapere bene per agire meglio…Per cui al detto, sacrosanto, so di non sapere…bisognerebbe affiancare questo: devo imparare ad imparare.  Avremmo così la possibilità di utilizzare ciò che sappiamo per orientarci di fronte ai problemi…secondo la logica del problem solving.

Credo che vera cultura sia quella che ci consenta di vivere meglio, cioè di dimostrare al momento della necessità una capacità di “leggere” ed interpretare i problemi così da trovare il modo per affrontarli in modo creativo. Riuscendo a fare i conti con tutti gli scherzi che derivano dalla nostra percezione, dai nostri pregiudizi, dalle nostre manie e fissità.

Lo stesso Covid-19 può e dovrebbe essere letto come un gigantesco grattacapo di fronte al quale provare a mettere in campo strategie efficaci. Ciò che abbiamo visto, e stiamo vedendo, sotto questo profilo non sembra all’altezza non solo della complessità del problema ma della stessa cultura che dovrebbe consigliare i decisori. A chi non è capitato in tutta questa vicenda di chiedersi: tutta qui la sapienza dei decisori? Tutta qua la sapienza dei superesperti consiglieri? E allora vien pure da pensare che le tesi complottiste siano paradossali modi di pensare in fondo ottimistici che si ostinano a credere che la sapienza sia da qualche altra parte, magari al servizio di chi manovra dietro le quinte…una paradossale visione ostinatamente ottimistica….

La cultura buona, quella delle teste ben fatte, che uniscono teoria e pratica ci dovrebbe, invece, mettere a disposizione non solo svariate modalità e strategie per risolvere i problemi, sperimentate da personaggi che la storia documenta con dovizia di particolari, ma anche esporci a quelle sollecitazioni letterarie (certo da non prendere alla lettera!) che non ci offrono soluzioni dirette ai vari problemi ma ci aprono la mente alla ricchezza di soluzioni possibili…Fondamentale da questo punto di vista è il richiamo al libro di Karl Popper, I tre mondi, Bologna 2012. Anche i romanzi e le poesie sono un tipo di realtà vera, non pura illusione per fuggire dalle catene della realtà quotidiana…La proposta è quella della letteratura come esercizio per agire elastica-mente

Se non fosse così e la scuola non potesse essere a sua volta una macchina del tempo per come abbiamo descritto questa metafora, perché affrontare tanti sacrifici, sia a livello personale che a livello di spesa pubblica per un servizio che per sua vocazione deve essere considerato un servizio proattivo e non reattivo? Capace cioè soprattutto di interpretare e accogliere i bisogni non espressi delle persone…con tutte le cautele, le responsabilità, ma pure la necessità che ciò comporta…

Ma…torniamo all’idea di John Rawls…prima che per l’attesa muoia una seconda volta…

Ebbene, per sconfiggere quella naturale propensione a far valere, anche solo inconsapevolmente, i nostri interessi quando proponiamo regole che dovranno valere anche per altri, egli suggerisce di anticipare ai raffinati negoziatori, cioè a tutti noi desiderosi di creare un gruppo indipendente contro il tempo tiranno…, che dovranno creare il loro statuto senza sapere quale sarà il ruolo che ciascuno avrà all’interno di quella piccola comunità.

Egli lo chiama, appunto, velo di ignoranza (come vedete l’ignoranza sa fare anche cose nobili…) e nel contesto del nostro discorso più complessivo, rappresenta un accorgimento decisivo per abituarci a pensare alle regole da proporre, in modo aperto e non già centrato sui nostri bisogni e desideri sui quali far convergere gli altri. Gli amanti del rock avranno sicuramente ben presente ciò che disse Frank Zappa (andando a memoria spero di non sbagliare e di non darmela sui piedi…la zappa!) che la mente è come il paracadute…funziona solo quando è ben aperta…

Anche perché per valorizzare i nostri interessi ci sarà una fase ugualmente fondamentale che concerne l’interpretazione delle regole stesse in cui torneremo ad essere giocatori dentro un campo di regole condivise…

Al fine infatti di non perdere di vista quelle sacrosante istanze che devono essere sempre presenti in modo tale da renderci un accanito partecipante al gioco delle regole per l’importanza che comporta stare in comunità, diventa fondamentale usare con consapevolezza lo strumento che oggi proponiamo, come di consueto attinto dalla inseparabile nostra valigetta di attrezzi, giochi ed esercizi…

Si tratta, manco per farlo apposta, del Contratto con sé stessi (vedi al termine del brano)

Immagino che, dopo la lettura, se fosse possibile tecnicamente, apparirebbero commenti di questo genere…cosa c’entra un contratto con sé stessi, dopo che abbiamo detto dell’importanza del gruppo? Una volta che c’è il gruppo perché insistere su sé stessi? Perché tornare all’individuo?

I loro autori sarebbero da ringraziare perché risponderebbero implicitamente ad un quesito fondamentale.

Di che gruppo preferite far parte? di quello, alla Marx (Groucho, non Karl) in cui non entrereste mai se accettasse una persona come voi o di uno fatto di persone, ben fatte come voi?

In altri termini: preferite un gruppo di consolazione, tipo refugium peccatorum in cui ci si supporta/sopporta a vicenda o uno fatto di persone “forti” come voi?

Alla domanda che apparirebbe in calce…ma che significa forti? risponderemo nel prossimo brano.

Ora va solo fatto l’invito a provare a creare un regolamento di gruppo per il dominio del tempo, per portare cioè il tempo a fattore controllabile dai suoi componenti…un regolamento contro i meccanismi mangia tempo…Naturalmente si può iniziare redigendo il contratto con se se stessi…come ideale prima parte del brainstorming, quella che abbiamo visto essere quella divergente, per poi, incontrando altri, anche in remoto, passare alla parte convergente.

Buon lavoro.

Pier Gavino Sechi.

P.S. Agli eventuali appassionati dei Rolling Stones che se avessero potuto avrebbero scritto…ma che cosa c’entrano i nostri divi con le macchine mangia tempo e con i possibili approcci alle nuove tecnologie? Anche in questo caso la risposta al prossimo brano.