Gemelli

Premessa.

Dal testo Reti di formazione alla nonviolenza, Torino 1999, proseguiamo l’esercizio illustrato nel brano precedente. Apriamo il libro e leggiamo il primo gioco che ci capita sotto gli occhi: Gemelli (vedi sotto).

Immaginando così di partecipare ad un training in cui ci si proponga proprio quell’esercizio, che cosa ci suggerisce? Quali sono le considerazioni che ci evoca? Quali le esperienze che ci fa riportare alla mente? Permettendoci così di tenere allenata la nostra mente alla riflessione, alla capacità di connettere idee all’inizio molto distanti. Come se fossimo il lago in cui viene lanciato un sasso che produce cerchi concentrici sempre più ampi, sino a collegare le rive.

Se poi ci capita di dubitare dell’utilità di questo uso pret-a-porter del training ricordiamoci di quanto sosteneva Karl Popper con la sua teoria dei Tre mondi.  Quanto creato dalla riflessione umana (una poesia, un dipinto, un film, etc.) ha un’influenza diretta sulle cose presenti nella realtà. In quanto ce le fanno vedere (interpretare) in un modo piuttosto che in un altro. Non è un caso che chi ha ricevuto più stimoli culturali vede la realtà più ricca e dunque si rivela capace di vedere più soluzioni ai problemi che si presentano.

In particolare, questo uso, quasi onirico, del training, si presta particolarmente, in tempi di pandemia, a valorizzare il tratto saliente di percorso con cui misurarci con la novità e con l’inaspettato. Caratteristica che lo accomuna al viaggio, come quello che stiamo immaginando di fare a bordo di una navicella guidata dalle nostre tre scimmiette.

Il gioco di oggi è appunto Gemelli.

Leggendolo, ancora  che cosa vi evoca? Che riflessioni vi suggerisce?

Il labirinto

Dall’apparenza inquietante, la metafora che a me suggerisce Gemelli è quella del labirinto.

Nel corso della consueta valutazione di fine gioco, cercherei  di spiegarne l’associazione in questo modo.

La nostra vita è come un labirinto. Tuttavia, sembrerà una contraddizione, ma ne rappresenta contemporaneamente  anche l’opposto.  In generale, infatti, davanti ad un bivio non sappiamo se la direzione che scegliamo ci farà progredire verso l’uscita o se ci porterà davanti ad un muro. Sennonchè, mentre nel gioco del labirinto in senso stretto quest’ultima prospettiva determina la fine del gioco (che comunque potremmo iniziare da capo). Nel gioco della vita, finchè siamo vivi,  non potendo osservarci dall’esterno, tutto diventa più relativo e sfumato.

Non possiamo vedere il “gioco” dall’alto e non abbiamo controprove per stabilire se stiamo agendo bene o male (bene o male peraltro rispetto a che cosa?). Le direzioni che prendiamo ai bivii,  inchè non ci troviamo davanti ad ostacoli insormontabili, alimentano l’idea che stiamo andando verso la meta. Ma pure, occorre chiederci, quegli ostacoli sono insormontabili solo per quel momento, e solo per noi? Oppure li consideriamo tali per scoramento o perchè siamo ancora poco allenati nell’esercizio dei nove punti e nella sottile arte della ristrutturazione?

La reazione alla mancanza di controprove: l’avatar

Un parziale aiuto a tutte queste domande e alla relativa sensazione di solitudine e di mancanza di prove controfattuali, potrebbe derivare dall’idea dell’avatar. Costituita dalla proiezione di noi stessi in un’altra dimensione come appunto nel film Avatar di James Cameron (nel film peraltro ritorna curiosamente la tematica del gemello: il protagonista nelle vicende narrate nel film sostituisce proprio il fratello gemello vittima di omicidio).

Si tratta, tuttavia, di suggestioni che non risolvono il problema che le scelte parallele se confrontabili non sono intercambiabili. Ciò a causa del passare del tempo che rende unica l’esperienza che ciascuno di noi fa nella propria vita.

I gemelli.

Non sfugge a tale considerazione l’esperienza di massimo parallelismo forse immaginabile. Cioè quella, appunto, dei fratelli gemelli.

Potremmo pensare al massimo dell’intesa e della comunicabilità tra di essi, ma alla fine, ciascuno è protagonista delle proprie scelte e  responsabile delle conseguenze.

Il falso mito del rimpianto.

Allora, se ciascuno starebbe solo sul cuor delle terra etc. etc., prima di sentirsi trafitto da un raggio di sole, occorrerebbe pensare all’unicità della propria esperienza come valore in sè. Rafforzato dal fatto che ciò che spesso sentiamo raccogliere nel catalogo delle cose non fatte e che avremmo potuto fare traggono la forza e la fascinazione dal fatto di essere rimaste solo potenziali.

Per sfuggire alla fascinazione basterebbe  ritornare ai saggi suggerimenti che Paul Watzlawick in Istruzioni per rendersi, infelici, Milano 1984, ci ha regalato sotto la voce del “dopo sbornia”. Che ciascuna di quelle scelte, se le avessimo intraprese avrebbero comunque occupato tutta la scena. E di nuovo ci avrebbero tolto la possibilità di un confronto con altre ipotesi a loro volte destinate a rimanere solo in potenza. Non solo, ma questa nostra esistenza ad unica dimensione, sia che sia definita da altri piò o meno felice e appagante, si rivela la sede di tutte quelle inquietudini che rendono plausibile l’incredibile dichiarazione di una persona “oggettivamente” appagata come il Maestro Riccardo Muti. Il quale arriva a dichiarare in una recente intervista di non essere più interessato alla vita.

Antidoti contro l’invidia sociale

Ebbene, l’attenzione  alle trappole su cui stiamo mettendo in guardia, potrebbe costituire una proposta contro l’invidia sociale. Che si basa su un errore logico. Ritenere che la felicità coincida con qualcosa che sta nella realtà esterna e dunque che basterebbe prendere per essere felici. Insieme qui si commette sia l’errore già chiamato in un altro brano dell’effetto dormitivo sia quello di non valutare le conseguenze paradossalmente spiacevoli che quell’acquisizione  (anche senza commettere furto)  provocherebbe nella nostra vita.

Basterebbe leggere ciò che di solito accade a chi  improvvisamente diventa ricco o raggiunge il successo.

Scarsità contro povertà.

Mettere in guardia contro i falsi miti non significa fare inviti ad accettare lo statu quo e a riporre l’ambizione. Al contrario, significa privilegiare l’idea del valore di ciò che si ha, proprio in quanto caduco e scarso. Estendendo questa valutazione dai beni materiali sino all’esistenza stessa.

La medicina del gioco di ruolo

L’unicità della dimensione esistenziale può essere bilanciata con l’assunzione di misurate dosi  (pena il rischio di intraprendere la professione dell’attore…con il dopo sbornia che ne consegue)  di giochi ruolo. Con i quali avere la benefica sensazione di uscire da noi stessi calandoci nei panni di un altro (con un aumento in assoluto delle risorse empatiche). Sia per provare a studiare i nostri automatismi nelle reazioni a certi fattori, nel tentativo di modificarli.

Tale operazione acquista una maggiore efficacia nella dimensione del gruppo. Capace di garantire sia il feedback sull’evolversi dei nostri comportamenti automatici,  che la memoria di ciò da cui abbiamo cominciato l’evoluzione.

In cambio a tale sostegno presteremmo il nostro analogo aiuto agli altri componenti del gruppo, nell’ ottica di quella pratica di cui abbiamo già parlato in termini di maieutica reciproca.

Pier Gavino Sechi.