Finestre mobili

Premessa.

Un gioco particolarmente utile in vista del momento fatidico in cui proveremo a tracciare il percorso verso l’assertività, si intitola Finestra del dott. Johary (vedi sotto).
È, a mio avviso, uno di quegli strumenti che, una volta usati, ti modificano. Come il teatro invisibile, il gioco dei ruoli, etc.. Cosicché anche se non dovessi più ripeterlo ne porti dentro l’insegnamento. Un effetto simile  all’imprinting.
Ciò in quanto, come il gioco in generale, la metafora e tutto ciò che ha la proprietà di essere simbolo che unisce più dimensioni, promuove l’insight. Concetto molto importante, insieme al satòri, per chi si occupa di formazione.

Una lente delle dinamiche del gruppo

La Finestra del dott. Johary può essere paragonata ad una fotografia non analogica del nostro rapporto con gli altri. E poiché ciò che gli altri pensano di noi fonda ciò che pensiamo di noi stessi, può essere utile come strumento di registrazione di questi giudizi.

Se poi viene usato periodicamente, ci permette di renderci conto di come si evolvono. Utilizzato nelle diverse fasi della vita di un gruppo, ci può raccontare  inoltre di come si sviluppano i rapporti tra le persone. E non è escluso che possa aiutare persino a gestire la fase dello storming in vista di una più consapevole e partecipata fase del norming.

Il misuratore del pragmatismo dei valori contro le petizioni di principio

Ci sembra particolarmente indicato persino per abituarci  a tradurre su un piano assai concreto i valori che dichiariamo di professare.

Ad esempio risulterà che con ogni probabilità l’assertivo, che si caratterizza, come abbiamo più volte detto, per considerare ok se stesso e gli altri, avrà la prima finestra in alto a sinistra molto ricca di informazioni. Le quali troveranno sostanziale conferma nella finestra in basso a sinistra.

Cosicchè tale corrispondenza potremmo dire traduca in concreto il valore della trasparenza e dell’apertura. E se no, come pensiamo di vedere realizzati i nostri principi? Non è difficile, infatti, trovare una larga convergenza su di essi, salvo poi scoprire quanto sia distante la sua concreta attuazione. Tanto che non sbagliamo di molto se diciamo che non sono tanto i valori dichiarati a creare solchi tra le persone. Quanto come vengono interpretati al lato pratico.

Dai principi alla loro attuazione

Non a caso limitarci a dichiarare un principio, sperando che poi questo si traduca di per sè in pratica, prende il nome di petizione di principio.

Tale punto va sottolineato con decisione. In quanto ritenere di comportarci in conformità a un determinato valore, senza aver chiaro in che cosa si traduca in concreto, può originare conflitti sanguinosi in nome dello stesso principio. Fenomeno a prima vista inspiegabile. La maggiore chiarezza cui sotto questo profilo La Finestra del dott. Johary abitua i componenti del gruppo risulterà fondamentale nella fase del norming. Allorché si tratta, cioè, di modificare le regole del gruppo alla luce di quanto accaduto durante la fase dello storming. E in cui sarà decisivo a partire da possibili interpretazioni diverse di uno stesso principio stabilirne una formulazione condivisa.
Del resto questa impostazione potrebbe spiegare l’efficacia delle stesse costituzioni moderne fondate su una chiara condanna dei fatti storici che le hanno generate.

Da lente a specchio

Tale strumento, svolge, tuttavia, una benefica funzione anche laddove vi  sia discordanza tra gli elementi inseriti in tali due finestre, in quanto assolve alla funzione fondamentale di allineamento.

Grazie ad esso, infatti, sono in grado effettivamente di mettere a fuoco se quanto penso che gli altri sanno di me corrisponde al vero. In questo modo si realizza quel principio che chiamiamo col nome di fiducia. Alla cui realizzazione punta soprattutto la finestra in alto a destra. Laddove inserisco informazioni su di me che voglio che gli altri conoscano.

La circolarità del sapere

Dall’analisi più attenta del tipo di informazioni da inserire nelle diverse parti della finestra non può sfuggire la ricorsività dello strumento. Difatti tutte le formule che le connotano si basano sull’uso del verbo sapere (io so di me, gli altri sanno di me etc.). Cosicchè il sapere qualcosa di se stessi assume un valore relazionale. Dato che sapere qualcosa di se stessi implica andare a vedere quali sono le fonti da cui traggo gli elementi di conoscenza. Con la conseguenza che tale strumento si presta anche a dare avvio a tale processo, senza perdere fiducia allorchè sembra che, una volta proposto, le finestre dovessero restare mute.

Uno strumento di osservazione delle dinamiche di gruppo

In diverse occasioni, infatti, l’abbiamo proposto all’inizio di un training come strumento per registrare l’evoluzione del rapporto tra i componenti del gruppo. Al termine,  abbiamo constatato, usandolo dunque anche come strumento di valutazione di tale livello di riuscita dell’ esperienza, che è utile per per dare conto della crescita delle dinamiche di gruppo.

Va trattata ora l’osservazione che vi potrebbe essere qualcuno che, per seminare zizzania, menta sia su stesso che su gli altri, ovvero che approfitti dello strumento, che non esclude l’anonimato di quanto si scrive nelle diverse finestre degli altri. Ricordiamo che ognuno ha la propria finestra affissa alla parete su cui gli altri possono liberamente scrivere: durante il training ciò avveniva  in determinati momenti e liberamente durante le pause.

Ma se inevitabilmente il gioco è parte integrante della nostra vita (la vita vissuta in una certa dimensione), non può sfuggire che chi mente possa paragonarsi al defezionante di Dilemma del prigioniero. Con la conseguenza che non solo si sta privando dell’efficacia di uno strumento fondamentale di conoscenza di se stessi.  Ma corre persino il rischio di essere isolato dagli altri.

La finestra cieca

Un altro aspetto da considerare riguarda, invece, la domanda se il quadrato in basso a destra sia destinato a rimanere vuoto.

A me è capitato di usare questa risorsa, la finestra vuota, in caso di incontro tra gruppi di lavoro che per un tratto precedente del percorso avevano operato separatamente. In questo caso i contenuti  di questa finestra ,inizialmente cieca (io non so e gli altri non sanno) sono stati intesi nel senso di gli altri del gruppo non sanno. Perciò quando i due gruppi hanno iniziato a lavorare insieme si è prestata a raccogliere quanto osservato reciprocamente dai loro componenti.

Ma è stato molto utile anche come finestra in cui il trainer, istanza terza, aveva la possibilità  di scrivere le proprie osservazioni.

Del resto, come abbiamo già detto, esiste una teoria, sostenuta da Carlo Ricci in AA.VV., Sul fronte dell’organizzazione, Milano 1981, che inquadra la circolarità della comunicazione tra due soggetti nel contesto in cui sono inseriti.

Conclusioni.

Abbiamo visto che è possibile salvaguardare il gruppo dalla caoticità delle dinamiche proprie della fase più delicata, ossia quella dello storming. Già prefigurare una sua evoluzione verso le altre fasi, sino al perfoming, può contribuire, come abbiamo visto, ad allungare la vita del gruppo.

Il gioco presentato oggi, sotto questo profilo, ci offre un prezioso strumento per guidare la vita del gruppo nel suo complesso, fornendo a ciascuno dei suoi componenti un quadro della “reputazione”  che gli altri nutrono nei suoi confronti. E ciò sulla base di elementi  pragmatici. Con uno stimolo continuo per far aderire i  comportamenti ai principi cui ciascuno dichiara di ispirarsi.

Pier Gavino Sechi.