La tempesta di idee (il brainstorming): un “semplice” esperimento di… complessità.

Qualche giorno fa abbiamo parlato della tempesta di idee come strumento per raccogliere il maggior numero possibile di idee su un argomento. Ne riportiamo sotto la descrizione tratta dal nostro libro Percorsi di formazione alla nonviolenza Torino, 1992, un libro che a pieno titolo fa parte del nostro patrimonio culturale e di cui via via cercheremo di proporre gli strumenti che a nostro avviso possono contribuire a farci uscire da questo periodo complesso con una riordinata valigia di idee, pensieri e un modo diverso di vedere le cose.

E’ vero, da studi successivi alla sua introduzione, avvenuta agli inizi del secolo scorso, c’è chi ha sostenuto che raccogliere le idee in solitaria permetterebbe di ottenere risultati ancora migliori rispetto al brainstorming: il numero delle idee che sarebbe possibile inventare sarebbe, infatti, superiore a quello frutto di un lavoro di gruppo.

Ebbene, al di là del fatto che altri autori, tra i quali Edward De Bono, il padre del cosiddetto pensiero laterale, testimonia di aver utilizzato il brainstorming in modo molto fruttuoso persino al fine di raccogliere centinaia di proposte di miglioramento delle condizioni di lavoro dei minatori cileni (con sessioni di brainstorming cui partecipavano i lavoratori stessi) a noi interessano anche gli aspetti educativi del brainstorming.

In particolare, nella sua fase divergente, in cui i partecipanti alla sessione di lavoro propongono liberamente le idee precedentemente pensate in una fase individuale di silenzio e raccoglimento (come si vede la fase individuale non è preclusa dal lavoro di gruppo), si imparano determinati valori per noi fondamentali:

-L’ascolto attivo e non giudicante: l’idea proposta dal nostro collega, figlio, familiare in genere (il brainstorming si adatta perfettamente ad ogni contesto anche familiare per i valori che appunto veicola) deve essere colta come uno stimolo per proporre nuove idee nella fase successiva.

-L’idea che proponiamo, una volta che viene messa in comune è come se non ci appartenesse più.

E se essa non è più di nostra proprietà, tanto meno lo è ciò che ci viene suggerito grazie (è proprio il caso di dire) all’idea proposta dal nostro collega…

Questi due valori sono secondo noi fondamentali per prevenire una buona dose di conflitti, in particolare quelli che possiamo chiamare “proprietari”.

Ma proprio il campo delle idee, infatti, è quello in cui meno si dovrebbe parlare di proprietà.

Si può essere proprietari di una casa, di una automobile, certo, ma come facciamo a pensare di essere proprietari di un’idea? Sicuramente a scopo di sfruttamento economico si deve ad un certo punto stabilire chi sia stata la persona che per prima prova di averla pensata per primo. Ma anche in campo commerciale sappiamo che spesso anche chi si proclama inventore di qualche ritrovato, non è poi detto che non si sia in qualche modo giovato di idee altrui o di circostanze pratiche favorevoli (come ci insegna, ad esempio, la vicenda del conflitto tra Bell e Meucci per la paternità dell’invenzione del telefono…)

Gli esempi da citare di questo genere sarebbero moltissimi, ma a noi piace ricordare che Domenico Demasi ritiene che si commetta un grave errore nel trattare le idee come se fossero…bulloni. E da questo punto di vista sfida i suoi lettori con un esperimento mentale.

Prendete due persone che intendano scambiarsi i doni (siamo a Pasqua anzichè a Natale, ma fa lo stesso…). Che cosa succede? Che dopo lo scambio ciascuno avrà in mano un oggetto, certo diverso da quello che ha regalato, ma pur sempre un solo oggetto: quello ricevuto dall’altro.

Se invece lo stesso esempio lo applichiamo al caso delle idee e dunque abbiamo gli stessi due personaggi che si scambiano le idee, che cosa scopriamo? Scopriamo che essi al termine dello scambio si ritroveranno tra le mani con  due idee ciascuno: quella iniziale più quella nuova ricevuta.

Che cosa insegna questa bella lezione di Demasi? Che le idee, anche se diciamo nel linguaggio corrente che si scambiano, in verità, quando vengono comunicate… si moltiplicano.

E badate stiamo sorvolando sull’effetto ulteriormente moltiplicativo che lo scambio ha anche sull’idea originaria che per semplicità abbiamo supposto di riportarci a casa insieme alla nuova. Immancabilmente, infatti, anch’essa si sarà modificata senza che avremo dimenticato la sua forma iniziale.

Ecco, sul piano educativo, il braistorming, un  semplice esercizio di pazienza, di silenzio, di ascolto attivo e di disciplina, rappresenta un moltiplicatore formidabile di idee che insegna che esse, come i virus, viaggiano da un incontro all’altro contagiando le persone  a tal punto che sarà persino inutile chiederci chi le ha generate.

Sarebbe come chiederci se è nato prima l’uovo o la gallina.

Per finire. Vogliamo chiudere con un esercizio molto adatto a questo momento in cui dobbiamo restare a casa e l’esperienza si presta ad essere immaginata come una sorta di pit-stop (per gli amanti dello sport)

Proviamo a pensare quali sono le idee che ci rappresentano: può essere un detto,  un aforisma o un proverbio.

Cerchiamo quindi di ricordare quando lo abbiamo fatto “nostro”…

Proviamo ora a ricordare chi ce lo ha suggerito.

Potremmo fare lo stesso anche con i nostri gesti: da chi li abbiamo ap“presi”?

Potremmo scoprire che i nostri gesti sono gli stessi delle persone che ci hanno insegnato anche la validità del nostro aforisma. E addirittura apprezzare che noi siamo fatti di altri (non d’altro…) come la nave di Teseo. Siamo qualcuno ma anche appartenenti alla stessa specie umana cui appartengono gli altri, come amava dire Gandhi riferendosi addirittura dei suoi nemici.

Al termine siamo ancora in grado di dire che certe idee sono solo nostre?

Forse no.

E allora piuttosto che sentirci defraudati di qualcosa (della nostra unicità o originalità?) forse stiamo scoprendo il gusto del dubbio e di ciò che con un parolone possiamo, timidamente, cominciare a chiamare modestia.